Anche il ministero dell’Istruzione e del Merito si sta finalmente accorgendo che “Serve un sistema strutturato e coordinato di interventi che, a partire dal riconoscimento dei talenti, delle attitudini, delle inclinazioni e del merito degli studenti, li accompagni in maniera sempre più personalizzata a elaborare in modo critico e proattivo un loro progetto di vita, anche professionale” (Linee guida per l’orientamento).
Mi piace molto il verbo “accompagnare”, perché ritengo che l’orientamento si debba snodare nel tempo, debba seguirci durante tutta la nostra vita. Spesso tendiamo a far coincidere il termine orientamento con scelta: “attivo un percorso di orientamento per poter scegliere cosa fare dopo”. Invece l’orientamento è innanzitutto la consapevolezza relativa alla reale situazione in cui un soggetto si trova, rispetto al tempo, allo spazio, a sé stesso. La decisione di cosa fare è successiva, conseguente e spesso non così gravida di conseguenze come ce la immaginiamo.
Per provare ad affrontare il tema dell’orientamento durante il periodo scolastico, dobbiamo dare uno sguardo ai ragazzi che incontriamo e, pur senza rinchiuderli in categorie che tranquillizzano solo noi adulti, dobbiamo almeno rilevare alcune caratteristiche che riscontriamo: hanno paura e sono ansiosi, sono dotati di una straordinaria debolezza emotiva, vivono e comunicano principalmente emozioni, la loro socialità, spesso confusa, disordinata, imprevedibile, instabile, si alimenta di emozioni. Soprattutto i ragazzi fanno fatica ad immaginarsi nel futuro, non vedono il futuro (“Noi intanto saremo l’ultima generazione sulla faccia della terra, perché tra virus, guerra, danni al pianeta, dopo di noi non ci sarà più nulla”), mancano di fiducia nel futuro, si vedono solo nell’istante presente, che consumano il più in fretta possibile. Non capiscono se si chiede loro “cosa vuoi fare da grande”, ma accettano un dialogo che li mette a nudo. Per questo hanno bisogno di avere accanto degli adulti che non diano loro un giudizio orientativo definitorio, come purtroppo spesso accade nella scuole (“Hai preso 5 in matematica, quindi non sai la matematica, non fare il liceo scientifico”), ma che li sostengano e li sfidino nella scoperta di loro stessi e del mondo.
Spesso, stando davanti a loro, ci rendiamo conto che i ragazzi, come anche noi, sono veramente un mistero, un mistero da accogliere e da svelare, un mistero in cui entrare dentro. Varcare questa frontiera vuol dire, dunque, uscire da uno spazio familiare, conosciuto, rassicurante ed entrare in quello dell’incertezza con una responsabilità: ognuno è unico e in qualche modo ci viene affidato.
Francamente non credo molto ad un orientamento che abbia come unico obiettivo quello di rendere consapevoli le famiglie dei settori che offrono le migliori prospettive occupazionali, in termini di retribuzione, opportunità di carriera e richiesta di figure professionali qualificate, per orientare decisioni più consapevoli in termini di scuole superiori, come recentemente ha sottolineato il ministro Valditara. Innanzitutto perché autorevoli studi internazionali continuano a ripeterci che con l’avvento delle nuove tecnologie non sappiamo quali saranno i mestieri del futuro e i mestieri che conosciamo adesso non esisteranno più. Certamente occorre che tutta la scuola stringa un rapporto di alleanza con il mondo del lavoro, superando il gap che orami da molti anni divide in Italia questi due mondi, ma il lavoro futuro non può essere l’unico indicatore da considerare. Di fronte a questi cambiamenti non è forse meglio aiutare i ragazzi a scoprire chi sono, utilizzando tutto il tempo necessario per una conoscenza così vertiginosa? Aiutarli a coltivare uno sguardo curioso perché solo così lo studio, il lavoro e in generale la vita potranno essere interessanti; sviluppare il senso critico, perché fare tante esperienze non vuol dire fare esperienza, perché quello che vivi diventa esperienza solo se lo giudichi, ma soprattutto spingerli a non smettere mai di cercare dei maestri, quelli che aiutano a vivere le sfide di ogni giorno.
Per lavorare su questi temi è necessario dare concretezza al proverbio africano spesso citato da Papa Francesco “Per educare un bambino ci vuole un villaggio”, a partire dalla consapevolezza che la responsabilità dell’educazione è condivisa a livello di comunità professionale. Compito della comunità professionale è quello di tenere sempre in mente la centralità della persona e provare a riconoscere quel desiderio di bellezza che tutti abbiamo, attraverso un metodo condiviso. La responsabilità educativa ed orientativa va poi condivisa essenzialmente con le famiglie e con tutto un territorio (luoghi educativi, assistenti sociali, imprese, ecc.)
Queste sono le ragioni per cui alla Piazza dei Mestieri l’orientamento è inteso come una modalità educativa permanente di aiuto alla persona, che “dura” nel tempo, estendendosi dalle fasi della scelta iniziale a quelle connesse al delicato passaggio verso il mondo del lavoro o al ritorno nel mondo scolastico. Lavorare sull’orientamento significa per noi personalizzare le caratteristiche della proposta per ciascuno dei soggetti incontrati, definendo un percorso in cui si mette a fuoco il progetto personale di ognuno. L’accoglienza e la successiva presa in carico è innanzitutto l’analisi dei bisogni, delle risorse a disposizione, dei limiti e delle potenzialità del soggetto e della sua rete di riferimento. Questo modo di accompagnare i ragazzi permette di renderli protagonisti nella costruzione del proprio progetto di vita e non si ferma solo alle fasi di transizione, ma continua in una prospettiva di life long learning.
Occorre scoprire il valore educativo dell’orientamento e non solo quello legato alla scelta. Dobbiamo considerare che solo se diventa uno strumento educativo e formativo possiamo aiutare i ragazzi ad avere strumenti per poter esprimere veramente chi sono, la loro peculiarità e unicità, i talenti con cui sono stati accolti nel mondo, le risorse che hanno sviluppato, i loro bisogni e i loro desideri, per affrontare quel mondo che a loro fa paura con la flessibilità necessaria e con accanto persone che non li lascino soli.
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