Ci risiamo. Parlo ancora di Oscar, il mio amico insegnante, quello che ha vinto concorsi e cattedre al suo paese e che però, al suo paese, la cattedra non c’è. Quello che, nel frattempo, è stato alla Sorbona e poi in Germania con le sue ricerche minuziose su chissà quale testo dimenticato di chissà quale filosofo dimenticato. Quello che ha finito i suoi dottorati ed è stato chiamato da una scuola milanese che gli ha offerto una bella supplenza temporanea fino a giugno, nonostante a lui una cattedra, come sappiamo, la scuola italiana gliela deve. Ecco, di quell’Oscar lì sto parlando. Che ha fatto un altro concorso – ma perché? – e ha stracciato tutti i partecipanti con degli scritti perfetti. Ed è stato chiamato a svolgere l’esame orale.
Mica a Milano, dove abita e insegna orgogliosamente nel suo prestigioso liceo. No: quelli della Sicilia li hanno chiamati in viale Fulvio Testi, tra lo smog e i filobus e i tram. Lui, che in viale Fulvio Testi ci abita, lo hanno convocato nel Nordest umido e industrioso.
Poco male. La sua Panda lo ha fedelmente servito: le sue sigarette strabordavano dal cruscotto, la musica progressive accompagnava il suo rimuginare date e nomi dei periodi storici su cui l’avrebbero, per l’ennesima volta, interrogato. Non c’era più uno straccio di decennio che potesse avere segreti per lui: che gli chiedessero la reconquista spagnola – fino a quando? – o i saggi di Bloch sulla servitù della gleba, lui ormai si muove tra i fatti e i misfatti della storia come se fossero i trenta metri del suo monolocale milanese.
Ma è stato fortunato: intanto ha trovato un albergo per la notte con prezzi abbordabili, intanto la scuola dove si svolgeva l’esame non era proprio infognata tra le paludi della foce del Po. Poi c’è stato l’esame: professori come lui, insegnanti come lui. Che però probabilmente non hanno vinto mille concorsi. Magari uno solo. Magari senza dottorati di mezzo. E persino gentili. Oltre ogni aspettativa, alle domande che gli hanno rivolto potevano rispondere bene persino i suoi studenti del prestigioso liceo milanese.
La Panda al ritorno era ancor più piena di fumo. E di altre domande: perché pur avendo uno scritto con il massimo dei voti, pur avendo svolto un orale sereno e tranquillo il povero Oscar è stato segato? Come funziona questo Stato, questa scuola italiana? Dunque: abbiamo un giovane studioso che ha vinto già un concorso, una cattedra, il ruolo. Che ha vinto altri concorsi con abilitazioni e tirocinii. Ma sulle sponde del Po il suo cervello si è improvvisamente inceppato. Sarà l’umidità, sarà la nebbia? O forse, per una volta, per la prima volta, la scuola italiana è stata onesta. Comportandosi così, riflettendo così: lo sappiamo, figliolo, che tu sei bravo. Ma perché dovremmo darti un altro titolo inutile? Perché dovremmo dirti che hai diritto a una cattedra, se poi di cattedre non ce n’è? Siamo onesti: meglio non illuderti più. Perversa e misericordiosa, se fosse così, la scuola italiana. Ma allora, la sua cattedra temporanea nel suo bel liceo milanese, gliela lasciamo o gliela togliamo? È degno o no ‘sto ragazzo con la macchina piena di fumo di stare seduto dietro la scrivania, davanti ai suoi studenti che lo aspettano al suo ritorno?
L’altra volta a Oscar, e a Margherita, suggerivo di andare in classe con Rilke. Questa volta ci vorrebbe Walt Whitman, il vecchio zio Walt, lo chiamerebbe il professor Keating: “Ohimè! O vita! Per queste domande sempre ricorrenti,/ per la folla infinita di infedeli, per le città piene di sciocchi,/per il mio continuo rimproverarmi (poiché chi è più sciocco di me e più infedele?)/ per gli occhi invano assetati di luce, per gli oggetti perfidi, per la lotta sempre rinnovata,/ per gli scarsi risultati di tutti, per le sordide folle che vedo attorno a me avanzare con fatica,/ per gli anni inutili e vuoti di coloro che rimangono, con il resto di me avvinghiato,/ la domanda, ohimè! Così triste, così ricorrente – cosa c’è di buono in tutto questo? Ohimè! O vita!
Risposta/ Che tu sei qui – che la vita esiste, e l’identità,/ che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuire con un verso.”
Io lo so che Oscar ha un verso con cui contribuire al potente spettacolo. I suoi studenti lo sanno. La scuola italiana, forse, no. E dovrebbe smetterla, almeno, di parlare di merito e competenza.
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