“Questa volta non sono lacrime di dolore ma di gioia … Piango per la mia famiglia e per tutti quelli che mi vorranno sempre bene. Oggi posso finalmente dire che da quella tempesta siamo usciti tutti più forti e uniti, perché alla fine anche il dolore, se sai affrontarlo, qualcosa ti insegna … ora comincia la mia terza vita”. Con queste parole Alessia, quindici anni, conclude la sua testimonianza, inserita dal giornalista Luca Pagliari nel libro #cuoriconnessi. Storie di vita on-line e di cyberbullismo, una raccolta attenta ed appassionata di esperienze provanti vissute da ragazzi, rimasti “impigliati” nella rete. 



Quella di Alessia è una storia finita bene, con la possibilità – come lei stessa dice – di iniziare, a quindici anni, una terza vita, dopo la prima normale e la seconda drammatica, durata due anni. Due anni – che a quindici sembrano un’era – trascorsi a rinchiudersi in casa, a cambiare scuola, rinunciando a tutto il quotidiano di un’adolescente, mentre sviluppava gravi disturbi psicologici, come peraltro confermato dalla sentenza di condanna di qualche decina di coetanei, accusati di avere reiteratamente compiuto atti di persecuzioni a suo danno, fino a “minarne gravemente l’equilibrio psicofisico”. 



Non tutte le vittime di aggressioni verbali e psicologiche, amplificate esponenzialmente attraverso i social, riescono però ad iniziare la loro terza vita, come è accaduto ad Alessia. Lo documentano i venti adolescenti francesi morti suicidi nel 2021. Dati enormi che hanno spinto il presidente Macron ed il ministro dell’Istruzione pubblica, Blanquer, a formalizzare la proposta di istituire il reato di harcélement scolastico: una condotta connotata da insulti e minacce sui social, sostenuti fino a provocare il crollo psichico delle vittime; un reato che potrebbe presto risultare punibile con la prigione fino a 10 anni e con multe fino a 150mila euro. Alle sanzioni saranno affiancate, almeno nelle intenzioni del ministro francese, azioni di tipo educativo e di sensibilizzazione dei giovani, finalizzate ad evitare ogni forma di aggressione fisica, verbale e psicologica nei riguardi di coetanei. 



Educazione, prevenzione e punizione sono il trinomio su cui si fonda non solo la proposta normativa francese, ma anche l’italiana legge 71 del 2017, nata per prevenire i danni derivanti da manifestazioni di abuso e denigrazione attraverso l’utilizzo del web. Si potrebbe cogliere l’occasione del dibattito francese per un bilancio sull’efficacia della nostra normativa e sugli interventi educativi attivati finora nelle scuole italiane, un bilancio che richiedevano già con forza i dati del Safer Internet Day 2021, la Giornata mondiale dedicata all’uso positivo di Internet, celebrata lo scorso febbraio. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, nel febbraio 2021, il 59% dei ragazzi intervistati rilevavano infatti un aumento dei reati di cyberbullismo, il raddoppio del tempo trascorso online, ed uno su cinque si definiva “sempre connesso”. 

Impossibile nascondere dietro un dito – quello dell’incremento di connessione dovuto alla pandemia – il fenomeno macroscopico che sta investendo le nuove generazioni, connotato dall’inarrestabile “migrazione” online e dall’incremento della violenza verbale e psicologica in rete. Urgente, inoltre, non attendere che il dramma francese superi la catena alpina, prima di chiederci cosa stiano vivendo gli adolescenti, sempre più connessi, ma non per questo meno estranei.

“Perché hai fatto questo a mia figlia?”. Ecco la domanda che la madre di Alessia ha rivolto ad uno dei giovani imputati, accusato di aver diffuso ripetutamente messaggi offensivi ed ingiuriosi che connotavano la figlia come “una poco di buono ed una iettatrice”. Sconvolgente la risposta, data tra le lacrime e con la testa piegata a toccare il mento: “Signora, io sua figlia non l’avevo mai vista, non sapevo neppure chi fosse!”. 

In questa affermazione, che esplicita tutta la banalità del male – quella che Hannah Arendt correla alla rinuncia a pensare il significato e gli effetti dei propri atti –, si annida anche una terrificante risposta all’interrogativo: “chi è per me un altro?”. Impossibile eludere la questione, trincerandosi dietro posizioni buoniste e valoriali, a cui i giovani risultano impermeabili, se si vuole giungere ad una codifica corretta e ad un affronto efficace delle violenze tra ragazzi e non solo. 

In Psicologia delle masse ed analisi dell’Io (1921), Freud, interrogandosi su cosa tenga unite le masse – nei reati di bullismo e cyberbullismo sono sempre attive dinamiche di massa – osserva che “nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico”. Volendo integrare l’elenco, potremmo aggiungere che nel cyberbullismo l’altro è sì presente, ma è nessuno, non vale neppure quanto un nemico, proprio come conferma la risposta del giovane imputato, alla domanda della madre di Alessia. 

Nessuno è niente e quindi vale quanto nulla. 

Solo la scoperta o riscoperta personale dell’altro come compagno, amico, socius potrà offrire l’occasione di un diverso trattamento.

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