Nel gabinetto Draghi sembra che si sia verificato un gigantesco corto circuito. Non nelle linee elettriche, si badi, ma nel settore che si occupa del reclutamento del personale docente, cioè nel reparto più numeroso dei dipendenti pubblici del Belpaese. Al concorso ordinario 2022 sono stati banditi  26.661 posti, forse ne servirebbero 50mila, forse più, ma le prove sono talmente difficili che lo superano poco più del 5% dei candidati, che quest’anno hanno toccano quota 430.583.



Forse a causa del conflitto in Ucraina la notizia desta poco clamore e forse anche in condizioni normali pochi ne avrebbero parlato. A vederla da vicino però è una vera débâcle, che riempie le chat dei tanti candidati e del vasto esercito dei precari. Definito da Mattia Galante sulla pagina Facebook di Tecnica della scuola un “concorso prova e vinci”, più simile al gratta e vinci  che a una prova per misurare competenze e abilità didattiche, ha lasciato l’amaro in bocca a tutti.



La formula di 50 quesiti in 100 minuti, uno ogni due, svolti davanti a una postazione internet di una scuola statale, è una vera e propria gara contro il tempo. Perché 50 quiz a risposta multipla (quattro) di cui 40 sulla disciplina, 5 in inglese (livello B2) e 5 in Informatica, a cui vengono attribuiti 2 punti per le risposte giuste e 0 per quelle errate e quelle non date, non sembra un metodo adatto a valutare i docenti, coloro che si dovranno occupare della crescita personale e didattica degli adolescenti italiani. Per accedere all’orale bisogna ottenere 70 punti (35 risposte giuste e una media di 7/10), ma quello che più sconcerta è sia l’estremo nozionismo, sia l’altissimo livello di puntigliosità, che causa l’insuccesso di oltre il 90% dei candidati.



Qualche esempio? Alla prova di italiano per le medie era chiesto chi avesse vinto il Nobel tra 4 scrittrici, alcune righe di un romanzo da indovinare,  un romanzo gotico tra quattro titoli, un costrutto di analisi del periodo estremamente complicato e l’attribuzione di una terzina a un canto di Dante, cosa indicano le prime cifre di un codice a barre, oppure cosa sia il single sign on nell’azione 8. Mentre per tecnologia si chiedeva cosa succede se nell’acciaio aumenta la percentuale di carbonio, quali sono le proprietà della ghisa, il riciclo dell’alluminio, l’estensione del file “.sti” e cosa sia il Derrik. Si vogliono docenti che in pochissime tempo spacchino il capello in quattro che poi è l’esatto contrario del background dell’educatore, il quale deve invece tendere al ragionamento, alla riflessione, al dialogo, perché la crescita è un processo lento, e non segue la logica cesariana del “veni, vidi, vici”.

Questo amore del quiz da parte di viale Trastevere e del ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta in realtà è in auge da diversi anni anche per selezionare i dirigenti scolastici e permette concorsi veloci, con la mobilitazione di poco personale di assistenza e commissioni agili. La formula costa poco, ma è estremamente poco adatta allo scopo. Seleziona docenti che in genere insegnano già e li demotiva, allontana dalla scuola tutti i nuovi laureati che si affacciano al  mondo del scuola con piglio giovanile e soprattutto non riduce il precariato.

Il concorso iper-nozionista attua poi un paradosso. Boccia migliaia di docenti a cui ogni anno il ministero affida le classi con gli incarichi annuali, coloro che per necessità sono utilizzati  per riempire i ranghi, vista la mancanza cronica di personale a tempo indeterminato, per cui sono esclusi dalla porta, ma rientrano sempre dalla finestra. E poi, come accade da tanti decenni quando il numero dei docenti di ruolo si abbassa troppo, si fanno delle moratorie e così vengono assunti a decine di migliaia ope legis, in barba a qualsiasi concorso e rigore. “Questa è la scuola statale, bellezza!” direbbe Humphrey Bogart, e a noi viene da dire che il  carrozzone della pubblica amministrazione non cambia mai. Chiede rigore ai cittadini, ma è il primo a non metterlo in pratica.

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