Sì, i nodi vengono al pettine e, quando la situazione è già complicata per altri motivi, spesso costringono chi li deve sciogliere a mostrare la sua “vera” faccia. È quanto sta accadendo nella nostra bella Italia, governata da una classe politica che sempre più si mostra, nell’insieme, statalista e illiberale, ma, soprattutto, schiava di pregiudizi di cui dovrebbe vergognarsi, perché ne palesano il vero volto totalitario, illiberale e ben lontano da un serio interesse per il bene comune.
La questione fondamentale della democrazia è quella della libertà di educazione, sulla quale i governi di destra e di sinistra hanno sempre glissato e gli stessi cattolici hanno talvolta mostrato di non saperne valutare a fondo l’importanza.
John Stuart Mill aveva ben capito che lo Stato deve rendere obbligatoria l’istruzione, ma non assumerne la gestione, perché, come riconosceva Antonio Rosmini, “I padri di famiglia hanno dalla natura e non dalla legge civile il diritto di scegliere maestri ed educatori per la loro prole”; anche grandi personalità della sinistra, come Gaetano Salvemini e Antonio Gramsci, sostenevano l’utilità di una sana “concorrenza” tra scuola dello Stato e scuola gestita da privati cittadini; Gramsci diceva addirittura “Noi socialisti dobbiamo essere propugnatori della scuola libera, della scuola lasciata all’iniziativa privata e ai Comuni” e aggiungeva che “La libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato”; analogo il pensiero di Luigi Sturzo, di Luigi Einaudi, dello stesso don Milani, tanto caro ad alcuni esponenti della sinistra attuale.
Nel travaglio della seconda repubblica, nel lontano 2000, esattamente 20 anni fa, fu approvata la legge n. 62 che istituì un unico sistema scolastico nazionale del quale fanno parte le scuole dello Stato, quelle di altri enti pubblici (i Comuni) e quelle gestite da privati cittadini. La legge – coerentemente con i principi della Costituzione repubblicana – riconosce che tutte le istituzioni scolastiche, da chiunque gestite, svolgono un servizio pubblico. Il principio è molto giusto, sia perché – come riconosce lo stesso Berlinguer, il ministro della Pubblica Istruzione che volle quella legge – “la scuola è una sola ed è del tutto secondario chi le gestisce: statali e paritarie sono pubbliche, il sistema nazionale di educazione è uno solo e obiettivo prioritario dello Stato è espanderlo”, sia perché il diritto all’istruzione è un diritto fondamentale per ogni uomo e l’educazione-istruzione dei giovani è un diritto-dovere prioritario per ogni famiglia.
Berlinguer, erede del Pci, la pensa esattamente come Gramsci e Salvemini, politici capaci di capire la validità del grande obiettivo di avere una “libera scuola in libero Stato”. In una recente intervista egli stesso riconosce: “Quello che non abbiamo capito – lo dico a noi di sinistra – è che la ‘scuola per tutti’, la scolarizzazione di tutti, è la battaglia più progressista, urgente e necessaria oggi in Italia”. I governi che si sono alternati in questi 20 anni, di destra o di sinistra, chi più chi meno, hanno boicottato nei fatti l’adozione di norme attuative della legge 62/2000 per regolare l’effettiva parità delle scuole statali e non-statali, perpetuando l’iniqua disparità dei cittadini italiani: tutti pagano le tasse, ma una parte di loro, oltre alle tasse è costretta a pagare anche una retta, spesso assai onerosa, per usufruire del sacrosanto diritto di scegliere a chi far educare i propri figli.
Ora finalmente il Covid-19 costringerà lo Stato a decidere se continuare ad essere ingiusto, o far cessare la discriminazione. La crisi economica causata dalla pandemia vede i genitori in difficoltà a pagare le rette e molti di loro, vedendo che le scuole sono state chiuse, hanno interrotto i pagamenti di propria iniziativa. Ciò determinerà il fallimento e la chiusura definitiva di molte scuole paritarie non statali, costrette, comunque, a pagare lo stipendio dei dipendenti, con il rischio, però, di un mancato pagamento delle rette da parte delle famiglie.
Si tenga presente che la maggior parte delle piccole e medie scuole paritarie sono già indebitate da anni e possono proseguire la loro attività solo basandosi sul versamento delle rette da parte dei genitori ed avendo classi con un numero adeguato di alunni; i docenti sono spesso pagati con i minimi sindacali e lavorano… ben più di quelli delle scuole pubbliche. Le risorse che ricevono dallo Stato sono decisamente inferiori a quello che rappresenta il costo standard di un alunno nella scuola statale.
Lo Stato risparmia enormemente sul numero di alunni che studiano nelle scuole paritarie, che ospitano attualmente poco meno di un milione di alunni e fanno risparmiare allo Stato non meno di 7 miliardi di euro all’anno; la paventata chiusura di un terzo abbondante di tali scuole porterà lo Stato a dover affrontare, dalla sera alla mattina, un onere di non meno di 4-5 miliardi, perché le scuole statali hanno un costo standard per alunno che va dai 4-5mila euro delle elementari ai 9-10 mila delle scuole superiori, ben più elevato delle scuole non statali.
Il coronavirus è certo un evento imprevedibile, una sorta di “cigno nero”, ma forse ci costringe a fare delle scelte più intelligenti rispetto al passato. Certamente ci darà l’opportunità di capire se il nostro Stato vorrà continuare a tradire le legittime aspettative di tante famiglie italiane, oppure si deciderà a fare la scelta – anche economicamente più vantaggiosa – di rispettare il diritto primario dei cittadini di fruire della libertà di educazione senza dover pagare un pesante balzello, prova evidente di una antidemocratica sorta di sussidiarietà alla rovescia.
Oggi siamo in una situazione di emergenza e il decreto Scuola (n. 22, 8 aprile 2020), che parla di didattica, esami e altri temi fondamentali, entra in vigore senza un serio confronto con il Parlamento e con le forze sociali: si decide in fretta e bypassare le pieghe della democrazia sembra un atto dovuto.
In realtà occorre che i politici del nostro bel Paese capiscano che la dignitosa esistenza di scuole paritarie non statali è espressione concreta del diritto costituzionale alla libertà educativa dei genitori e che sono sbagliati sia l’atteggiamento ideologico della sinistra Pd e del M5s, sia quello un po’ vigliacco e codardo di partiti che legittimano la sostanziale indifferenza (o inerzia?) di un Governo sempre più orientato a non tutelare questo diritto fondamentale dei suoi cittadini.
Ma sarà pure opportuno che tutti i politici amanti della libertà – in primis quanti si dicono cristiani, perché nessuno dovrebbe essere più amante della libertà di loro – si decidano ad attuare scelte concrete per risolvere questo nodo fondamentale che assicuri il rispetto del diritto alla libertà di educazione, irrinunciabile in una vera democrazia. Tutti i cattolici dovrebbero interrogarsi per le loro responsabilità e per la loro ignavia: la Dc ha le sue colpe, ma i tempi della Dc sono molto lontani; i cattolici nel centrodestra non hanno mai voluto e saputo affrontare con decisione il problema; quelli di centrosinistra hanno la responsabilità di aver voluto dare meno risorse ma anche maggiori adempimenti, fino a strozzare la maggioranza delle scuole libere.
Se queste scuole saranno costrette a chiudere, a soffrirne sarà tutto il sistema Paese e il “dopo-coronavirus” coinciderà con l’era della “post-democrazia”. Tra qualche settimana vedremo come andrà a finire.