Qualche settimana fa si è tenuto il convegno annuale della CdO Opere Educative che ha stimolato in tutti coloro che hanno a cuore il tema della libertà scolastica una serie di importanti riflessioni.
La prima. Più che una riflessione è una evidenza: le scuole libere ovvero paritarie sono un modello che funziona ed una fucina di idee e di progetti innovativi messi in piedi da un popolo entusiasta, appassionato, innamorato del proprio “mestiere”. Tenuto conto del quadro ministeriale dei programmi e degli adempimenti, queste scuole, grazie a quella quota di autonomia e di libertà di cui dispongono, dimostrano una straordinaria capacità di leggere la realtà e di rispondere ai bisogni educativi e formativi dei propri alunni in modo tempestivo ed adeguato. Zelo, entusiasmo, impegno, generosità si traducono in uno stile di insegnamento e di apprendimento che non prescinde mai dalla prospettiva sia degli studenti che degli insegnanti. Al centro di ogni attività educativa ci sono prioritariamente gli alunni nella loro unicità ed integrità con l’obiettivo che nell’apprendere essi diventino sempre più protagonisti del loro percorso di studio e di vita, grazie a docenti disposti a trasferire progressivamente la responsabilità del cammino di formazione e di crescita agli studenti stessi. Si percepisce come in questi istituti le discipline di studio ed i tanti progetti proposti siano veicolo privilegiato per introdurli alla totalità del reale e ad una capacità critica.
Durante il convegno si è discusso di denatalità, che con il conseguente calo demografico rappresenta un problema grave per il Paese e anche per le scuole. Eppure il calo demografico ha un impatto minore sulle scuole libere. E sorprende il commento di Giorgio Vittadini circa la vivacità e tenuta delle scuole paritarie, che puntando sulla qualità sono in grado di pensare anche ad uno sviluppo economico. Esiste cioè la possibilità reale di catturare quote di mercato che permettono e permetteranno la tenuta anche in una situazione di calo demografico.
Ogni scuola ha la sua storia e la sua eredità, il suo riferimento ideale che si esplicita nel metodo educativo, “ciò che abbiamo di più caro”, che non può essere “un devoto ricordo”, ma una proposta di aggiornamento continuo, che risulta poi vincente nel rendere attrattiva la proposta educativa della scuola stessa.
Nella varietà di iniziative alcune ci hanno particolarmente colpito: alla chiamata del sindaco e del prefetto della città di Catania, affinché si salvi una scuola dell’infanzia comunale di un quartiere popolare a rischio chiusura, rispondono i gestori di un istituto paritario della stessa città facendosene carico, riorganizzandola e mantenendo la gratuità della frequenza grazie anche alla generosità dei genitori della loro scuola, che hanno accettato liberamente di contribuire con un incremento di retta. Nel comasco una scuola ha reso curricolare l’insegnamento degli scacchi. Molte e non solamente le scuole ad indirizzo tecnico e professionale hanno un progetto impresa.
Sul fronte dell’insegnamento dell’inglese i progetti non si contano e le collaborazioni e gli scambi con istituti scolastici all’estero sono all’ordine del giorno. Senza assumere il titolo di scuole bilingue ottengono di fatto risultati sorprendenti, documentati dalle certificazioni internazionali a partire già dalla primaria. Facendo seguito all’idea che l’insegnamento dell’inglese non sia da considerare disciplina specialistica ma (concezione più corretta e moderna) strumento di comunicazione, una scuola di Erba (Como) ha deciso di portare le competenze in lingua inglese degli insegnanti di tutte le discipline a un livello spendibile nell’insegnamento della propria materia, affinché il Clil possa essere veicolato dagli insegnanti stessi. I lettori di lingua madre diventano in tal modo solo un supporto a sostegno di tutti i docenti.
C’è una scuola di Varese che si fa carico di salvare scuole anche di altre regioni che viceversa chiuderebbero i battenti. In un’altra scuola, a Lecco, all’indomani dello scoppio della guerra in Ucraina, una ragazza coinvolge compagni e professori per una manifestazione in piazza (anche questo è bello: le cose nascono anche dal basso e non solo da una capacità progettuale): 80 studenti si trovano per esprimere pubblicamente la loro solidarietà e volantinare per le vie della città proponendo una raccolta fondi per i profughi. Organizzano poi un incontro di approfondimento con esperti di geopolitica (partecipano oltre 200 studenti) e si impegnano a coprire i turni di lavoro in magazzino per la raccolta di generi di prima necessità per l’emergenza in Ucraina.
Scuole che aprono le loro aule, i propri spazi e le proprie risorse al territorio affinché iniziative buone possano nascere in un dialogo costruttivo con la comunità. E tanto altro si potrebbe raccontare!
La Fondazione Brandolese guarda questa esemplare fioritura di iniziative e progetti, e più in generale alla vivacità e intelligenza di proposte educative e didattiche che vengono espresse dalle scuole libere come conferma della bontà della propria specifica “mission” che consiste nel “favorire il pluralismo scolastico e i diritti delle famiglie in campo educativo” per una libertà di scelta.
Infatti, quando una proposta educativa è animata da una forte idealità, anche l’impresa scolastica diventa competitiva e muove l’impegno e lo sforzo di tante persone che liberamente e lietamente si spendono per il bene comune.
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