Si riapre il periodo politico utile alla predisposizione del testo della legge di bilancio da presentare in Parlamento per l’approvazione entro il 31 dicembre. Contestualmente si riapre il periodo delle giuste pressioni di chi opera nel settore delle scuole paritarie per cercare di sensibilizzare il mondo politico verso la necessità di incrementare i contributi economici necessari a permettere alle istituzioni paritarie di superare le difficoltà di gestione che si sono rese evidenti negli anni con numerose chiusure. Quasi 500 scuole paritarie hanno cessato l’attività solo negli ultimi tre anni, quelli della pandemia e del post-pandemia.
Tali pressioni hanno sempre avuto una fisionomia comune: molto interesse anche da politici facenti parte delle maggioranze di Governo che si sono susseguite nel tempo, ma ridotti o nulli interventi concreti da un punto di vista economico, nonostante gli aiuti di diversi parlamentari convinti del valore delle paritarie e della pluralità educativa, con la motivazione formale puntualmente ricorrente: mancanza di risorse.
Le motivazioni sono diverse.
L’avversione ideologica, sicuramente in calo, è tuttavia ancora forte: è ben nutrito il raggruppamento politico trasversale che teorizza un sistema scolastico formato solo da scuole statali e che preme sempre contro gli interventi economici poiché “ogni euro disponibile deve essere destinato alla scuola statale”, viste le sue esistenti criticità. È una cultura ideologica basata sulla convinzione che la presenza della scuola paritaria sia in contrasto con lo sviluppo e l’attività della scuola statale, ed ha radici lontane.
In tal senso va ricordato che nel 1999, pochi mesi prima dell’approvazione della legge di parità 62/2000, parti politiche ed ideologiche contrarie indissero una manifestazione contro la possibile approvazione di una legge di parità in fase di discussione in Parlamento, che si svolse a Roma il giorno 11 dicembre 1999, con la partecipazione di 50mila persone, titolo: “Per la difesa e il miglioramento della scuola pubblica, contro ogni tentativo di smantellarla”, uno slogan significativo dei preconcetti strumentali portati avanti dagli oppositori.
Al contrario noi abbiamo sempre lottato perché la scuola statale e paritaria lavorino insieme in modo sinergico nell’interesse dei livelli di apprendimento, delle famiglie, degli studenti, e del nostro Paese.
Un secondo aspetto che giudico a sua volta importante si riferisce alla valutazione sulla natura dell’investimento cui si chiede di destinare le risorse di bilancio. Le risorse destinate alla scuola rientrano nella tipologia di investimenti i cui risultati si possono vedere solo nel medio/lungo periodo, ma il mondo politico ha bisogno di risultati rapidamente visibili da poter vantare per ottenere consenso e, quindi, su questo tipo di investimenti ha la tendenza a tenere il freno tirato.
Occorre invece avere sulla scuola paritaria una visione politica di lungo respiro, che richiede l’attitudine a seminare più che a raccogliere nell’immediato. Lo statista deve essere capace di pensare al futuro dei propri cittadini e non solo al presente.
I messaggi che ci giungono dai media in questi giorni replicano il déjà vu: la coperta è corta, le risorse sono scarse, molte sono le difficoltà nella costruzione del bilancio, nell’elenco dei possibili interventi le parole scuola e paritaria non si sentono. Dunque si corre ancora una volta il rischio che le esigenze del nostro settore, nella scala economica dei bisogni, siano messe agli ultimi posti e si vedano destinare soltanto “briciole”, se ne rimarranno.
Alla luce di questo quadro, prima di esporre le criticità che andrebbero affrontate nella prossima legge di bilancio mi sembra opportuno fare qualche domanda al mondo politico. Negli ormai quasi 25 anni di attività, dopo l’approvazione della legge 62/2000, le scuole paritarie:
– hanno supplito carenze di servizi che lo Stato non è stato in grado di offrire ai cittadini, come nel settore 0-6?
– Hanno offerto servizi di qualità che spesso le hanno portate ad essere ai primi posti della classifica Eduscopio?
– Hanno investito direttamente in innovazione per dare un’offerta formativa al passo dei tempi ai propri studenti?
– Mantengono rette al di sotto del costo medio indicato dal MEF, nonostante l’incremento dei costi dovuti anche all’inflazione (affitti, energia, personale, riduzione di personale religioso volontario, etc.)?
– Danno un forte contributo all’inclusione e alla riduzione della dispersione scolastica?
– Permettono a famiglie e studenti di poter esercitare i loro diritti costituzionali di istruzione ed educazione?
– Sono un presidio democratico ai fini del diritto alla libera scelta educativa delle famiglie?
Se queste risposte sono tutte un sì, è evidente la conferma che le scuole paritarie svolgono un servizio pubblico e le future scelte politiche anche in relazione a sostegni economici non può mettere ancora il settore in fondo alla scala dei bisogni, ma decidere di valorizzare la sua presenza e il servizio pubblico che offre.
Tre a mio avviso le criticità da affrontare sulle quali chiedere l’intervento di sostegno economico nella legge di bilancio, se si vuole arginare e frenare la deriva che, altrimenti, porterà altre istituzioni paritarie a dover chiudere:
1. la necessità di un recupero del potere di acquisto dei contributi ordinari erogati. Il contributo ordinario, stabile da diversi anni, ha un importo di ca. 500 milioni e ha perso circa il 40% del potere di acquisto a causa dell’inflazione, che solo negli ultimi tre anni ha avuto un incremento del 15% causando, come comprensibile, forti incrementi dei costi di gestione e conseguenti difficoltà per le scuole.
2. Prevedere un aiuto alle famiglie con minore capacità di reddito con l’estensione su tutto il territorio nazionale dell’esperienza buono scuola/dote scuola, a favore delle famiglie, sulla base del modello lombardo, come pubblicamente già annunciato dal ministro in più occasioni.
3. Avviare il completamento della copertura della spesa del sostegno per gli studenti a disagio iscritti nelle scuole paritarie, oggi una discriminazione inaccettabile in confronto agli studenti iscritti alle scuole statali, in contrasto con il principio costituzionale previsto dall’art. 33, con un sostanziale incremento dell’attuale contributo stanziato.
I Paesi che hanno non solo detto, ma creduto e attuato il principio che lo sviluppo economico di un Paese nasce dall’investimento sulla qualità della sua scuola, puntando su autonomia e pluralismo educativo, hanno raggiunto il loro obiettivo. Ne sono esempio la Gran Bretagna con le Academies, la Corea del Sud, la Finlandia, e lo stesso Mario Draghi, nel suo recente rapporto, ricordando all’Europa che si sta giocando la sua ultima chance, afferma che la qualità della scuola sarà decisiva per il suo progresso economico.
La nostra classe politica saprà affrontare con coraggio questa grande sfida? Noi lo auspichiamo.
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