Può permettersi l’Italia la sostanziale scomparsa della scuola gestita da enti privati? La situazione venutasi a creare da fine febbraio con la chiusura delle scuole (o sospensione dei servizi educativi) rende l’eventualità della chiusura di tante scuole paritarie gestite da privati (non di quelle paritarie gestite dagli enti locali, perché esse troveranno il supporto finanziario nelle risorse fiscali statali o locali, cioè delle nostre tasse) non più remota. Ne sono evidente testimonianza gli accorati appelli lanciati da singoli e associazioni che chiedono urgentissimi interventi di svariata natura finalizzati ad evitare il collasso immediato del sistema.



Di fronte a queste situazioni non sono pochi coloro che esultano. Basti leggere i tanti commenti sui social che inneggiano alla possibilità di avere finalmente un solo attore nel campo scolastico: le scuole “pubbliche” (statali e paritarie degli enti locali). Un’accanita avversione alle scuole private che resiste negli anni e che non accetta un confronto con la realtà.



Esistono altri che, considerando la funzione della paritaria utile solo in quanto sostituzione del “pubblico” (Stato ed enti locali) dove questo non riesce a esserci, si preoccupano del fatto che, sparita la paritaria, la popolazione di interi territori non potrebbe più accedere a servizi come per esempio le scuole dell’infanzia. Il pensiero, in fondo non tanto nascosto, è che prima o poi il pubblico dovrà occupare ogni spazio rendendo inutile le paritarie.

Agli uni e agli altri e a tutti gli italiani è importante far presente che l’Italia non può permettersi l’estinzione delle scuole libere, perché essa provocherebbe una profondissima perdita nel tessuto sociale e istituzionale del paese, una perdita gravissima in termini di identità popolare.



Prima di tutto la scuola privata è incardinata nella Costituzione. L’articolo 33 sancisce questa rilevanza proprio nella sistemazione dell’articolo il cui carattere dominante viene descritto da Aldo Moro come “parallelismo fra iniziativa pubblica e la iniziativa privata, restanti ciascuno nel proprio ambito” (Assemblea Costituente, 22 aprile 1947). Ma è ancora Moro a esplicitare il valore di tale impostazione: “La vera libertà (…..) è nel superamento di ogni esclusivismo, tanto che, anche in materia scolastica, lo Stato possa essere il sapiente coordinatore delle varie energie morali che si sprigionano nell’ambito della vita umana e della storia. Questo è l’unico modo per non chiudersi in un recinto, dove appunto per il suo esclusivismo lo Stato cessa di essere un autentico educatore” (Assemblea Costituente, 22 aprile 1947). Questa posizione è ribadita nell’articolo 118, dove il principio di sussidiarietà indica alle istituzioni pubbliche di favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”.

Nella scuola italiana oggi esistono tante realtà che esprimono le “energie morali” indicate da Moro e “l’autonoma iniziativa dei cittadini” prevista nell’articolo 118. Famiglie, associazioni di genitori, cooperative di docenti, fondazioni, e ancora parrocchie, congregazioni, istituti religiosi sono formazioni sociali che hanno fondato e gestiscono vitali, significative e apprezzate realtà scolastiche in tutta Italia, come le scuole dove io lavoro.

Ciò che scrive Giorgio Vittadini – “In questi giorni la vita per moltissimi non sarebbe stata possibile senza quella ‘società di mezzo’ (tra singoli cittadini e istituzioni), senza quei legami che creano la società civile. Non legami ‘difensivi’, mafiosi, ma costruttivi, di sviluppo, in realtà trasparenti e strutturate”, è perfettamente applicabile all’ambito scolastico, dove centinaia di migliaia di alunni continuano la scuola grazie alle paritarie.

In Italia esistono tanti soggetti, realtà sociali che contribuiscono al bene di tutti attraverso l’impegno nella scuola. Il pensiero e l’impegno che auguriamo a tutti, ad ogni livello di responsabilità, è di come farle vivere e prosperare.

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