Il termometro della pandemia, almeno per ora, sembra volgere al bello. Accade anche per la scuola italiana? Lo è anche per il sistema paritario? Sistema che garantisce la libertà educativa e il criterio della sussidiarietà, permettendo, per la sua parte, alla Repubblica italiana di essere una democrazia in senso sostanziale, oltre che formale? In un’altra altra occasione avevamo scritto che l’istruzione era stata messa ai margini del sistema paese perché la scuola non era stata coinvolta nella ripartenza della fase 2. È ancora vero? Proviamo a rispondere tenendo in considerazione alcuni fatti accaduti, mentre siamo in attesa che sia varato il decreto aprile, poi divenuto di maggio e infine denominato “decreto rilancio”.



Il ministro Azzolina, oltre a un decreto (Dl 22/2020) molto ampio con rimandi a specifiche ordinanze (non ancora uscite), oltre alle risposte ad alcuni question time alla Camera, di loro natura poco specifici, e oltre a numerose anticipazioni giornalistiche, altro non ha fatto. Il giudizio generalizzato del corpo docente è critico in quanto il Miur non ha sostenuto con apposite circolari l’organizzazione della didattica a distanza (la 388 del dirigente Bruschi comprendeva solo valutazioni iniziali), lasciando a ogni scuola l’iniziativa, e soprattutto non è intervenuta sulla valutazione del secondo ciclo, per cui sui voti già espressi sino a febbraio e le valutazioni della Dad ognuno si regolerà come vuole.



Il 6 politico (il ministro non lo definisce così) è garantito a tutti e pare che anche gli studenti che non hanno mai fatto nulla, con frequenza ridotta, si ritroveranno nella classe superiore per intervento di “San Covid”. Addirittura alcuni dicono che basterà essere iscritti, non avendo frequentato, per essere promossi. Ad Azzolina pare interessi solo lo svolgimento dell’esame di Stato del secondo ciclo, mentre per la terza media basta una tesina discussa neppure in presenza. Ne parla da un mese e mezzo, ma non ha ancora scritto alcuna ordinanza, che metta nero su bianco procedure, criteri e valutazioni. Per la scuola in generale, oltre alle parole, siamo rimasti nei fatti ancora a inizio marzo.



La paritaria è sempre la cenerentola del sistema di istruzione italiano. Il Miur ha previsto  lo stanziamento di 3,7 milioni su 43,5 totali per sanificazione e di 2 milioni su 85 per l’acquisto di connessioni internet e device. Nient’altro e il ministro, rispondendo a un’interrogazione della scorsa settimana, ha dichiarato che per le paritarie è stato firmato il decreto che stanzia 512 milioni di euro, non specificando che quello è il contributo ordinario annuale che lo Stato devolve alle paritarie, come i 49 miliardi stanziati per tutto il sistema. Per il titolare del dicastero di viale Trastevere sembra che per le paritarie la pandemia non sia mai arrivata. Speriamo di essere smentiti.

Nel frattempo il dibattito sul sistema paritario di istruzione ha preso campo e i maggiori quotidiani hanno cominciato a parlarne. Parte del merito spetta all’onorevole Gabriele Toccafondi, già sottosegretario all’istruzione nel governo Renzi, che ha fatto interrogazioni, rilasciato interviste, proposto emendamenti. E poi il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, Repubblica e Avvenire e tante altre testate hanno messo a tema il rischio chiusura per oltre un terzo delle paritarie. Nel dibattito pubblico anche gli interventi di sr Monia Alfieri hanno avuto risonanza e la chiusura, che è passata da 2 mesi iniziali (marzo e aprile) a sei (sino a settembre), ha reso evidente che senza il pagamento delle rette e senza un contributo diretto il disavanzo nei bilanci causerà la chiusura di un terzo delle scuole, anche con la concessione degli ammortizzatori sociali per il personale dipendente.

In più le organizzazioni di categoria si sono fatte sentire, con contatti a tutti i livelli: Fism, Agidae, Fidae e Aninsei hanno cominciato a palesare il pericolo e le loro reti hanno amplificato il tam tam digitale. A quel punto subito dopo Pasqua la palla è tornata sul campo delle istituzioni e si è fatta strada l’idea che tutti quei bambini che troveranno le scuole fallite a settembre dovranno essere accolti nelle scuole comunali o statali, con costi molto più ampi. Lo Stato, tramite alcuni suoi funzionari, ha già alzato bandiera bianca affermando che non ci sono posti nelle proprie istituzioni scolastiche e che mancano i fondi necessari per docenti e alunni. Non una dichiarazione di intenti, ma una sola valutazione delle convenienze economiche sembra muovere gli uomini del Miur.  

Anche alcune Regioni ed enti locali sono intervenuti. La Puglia ha stanziato ulteriori 300mila euro (800mila sono già a regime) per coprire le spese di gestione, mentre il Piemonte ha previsto sempre in modo straordinario ben 15 milioni di euro di cui 5 nella fascia 3-6, oltre ai 7,7 milioni di stanziamento ordinario. Il comune di Milano, con un altissimo tasso di frequenza nella fascia 0-6 anni, ha deciso di sostenere le scuole paritarie private con un fondo straordinario di 2,5 milioni di euro per garantire a tutti il servizio infanzia e sostenere i bilanci delle scuole. 

Non altissimo invece il contributo dell’Emilia-Romagna per le paritarie, che ammonta solo 1,3 milioni di euro, ma comunque presente, rispetto alla Liguria di Giovanni Toti che non ha previsto alcun piano straordinario, nonostante una mozione approvata dal consiglio regionale su proposta di Liguria popolare di Andrea Costa e un’interpellanza del forzista Claudio Muzio. In Riviera insistono sul contributo alle famiglie, ma di sostegno diretto l’assessore Ilaria Cavo pare non voglia sentir parlare.

È trapelato poi che il nuovo decreto del governo che metterà a disposizione 55 miliardi di euro complessivi per sostenere la fase 2 comprenderà uno stanziamento specifico per le scuole dell’infanzia paritarie. Una buona notizia, anche se non si conosce l’entità del fondo, ma che viene ridimensionata dallo stanziamento di ben 1 miliardo di euro per l’emergenza alle scuole statali. In percentuale è un finanziamento molto consistente che va sostenere una scuola che non ha problemi di pagamento degli stipendi e che ha già ricevuto oltre 120 milioni di euro. Non si escludono proteste per la scelta statalista che la sostiene. Si è saputo poi che per ragioni strettamente ideologiche, alcune forze della maggioranza giallo-rossa hanno imposto il sostegno al solo settore 0-6, mentre per primo e secondo ciclo la risposta è negativa. La disparità tra scuola di Stato e scuola paritaria permane e nelle fila governative il pregiudizio sulla paritaria come scuola dei ricchi che sottrae soldi alla scuola pubblica non si affievolisce. Molte sono le resistenze al ministero dell’Economia, al Miur e nei ranghi dei 5 Stelle, ma anche delle forze a sinistra del Pd. 

Sulla riapertura delle strutture scolastiche a settembre si è ancora in alto mare.  Da anticipazioni giornalistiche sembra che verranno attivati dei centri estivi per sostenere le famiglie. Il ministro della famiglia Elena Bonetti ha presentato un piano che prevede attività all’aperto sin dalla fine di maggio e centri estivi e asili da giugno. Un piano ambizioso che coniuga lavoro e famiglia e rimette al centro la necessità di superare al più presto l’isolamento dei più piccoli. Il piano è al vaglio del comitato tecnico-scientifico che pare non si sia ancora pronunciato. L’avvio della cosiddetta outdoor education sarebbe prevista dal 18 maggio per bambini nella fascia 3-6 con l’utilizzo di parchi, giardini e fattorie didattiche e luoghi simili. Dal 1° giugno andrebbero a regime i servizi educativi per l’intera fascia 0-6 con la modalità del centro estivo e la partecipazione di associazioni, cooperative e anche delle scuole dell’infanzia paritarie il cui personale è meno vincolato dai contratti nazionali, come quello delle scuole statali. Il tempo passa e a forza di valutazioni tecniche è possibile però che l’Italia e la sua scuola perdano il treno.

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