Il tema è oggi particolarmente caldo: quando e secondo quali modalità è giusto concedere uno smartphone collegato alla rete ai più giovani? Ci sono rischi connessi? E se sì, quali e di che tipo? Oppure, diversamente, gli smartphone sono una importante opportunità, anche di tipo didattico, di cui ragazzi e ragazze non devono privarsi?



A queste e altre domande sta iniziando a rispondere una letteratura specifica sull’argomento. Ciò che è certo è che il possesso e l’uso dello smartphone si stanno diffondendo rapidamente tra bambini e adolescenti e ad età sempre più precoci.  Il leitmotiv è sinora stato quello di dotare ragazzi e ragazze di uno smartphone nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola media per controbilanciare la concessione di una maggiore autonomia, ad esempio, negli spostamenti casa-scuola-attività pomeridiane: le pressioni dei pari e dei mass media o di nonni/zii che lo ritengono un regalo desiderato in occasione di compleanni, comunioni, festività stanno portando una precocizzazione nella concessione dello smartphone. Non infrequentemente le stesse scuole lo rendono, di fatto, uno strumento richiesto per gestire i compiti e le attività didattiche.



La letteratura sull’argomento, tuttavia, mette in guardia sulla concessione dello smartphone ai giovanissimi: a fronte di potenziali benefici (ad esempio, rafforzamento delle relazioni, organizzazione di incontri e attività, ecc.), esistono rischi di varia natura (disturbi del sonno, depressione, difficoltà a concentrarsi, aggressività ecc.) che possono influire negativamente sul loro percorso di crescita, se non correttamente gestiti. Studiosi di diverse aree disciplinari, da neuropsichiatri a pedagogisti e sociologi, si sono occupati di approfondire la conoscenza degli effetti negativi di un uso inadeguato dello smartphone, indagando ad esempio i risvolti psicologici, clinici, relazionali, cognitivi ed educativi.



E i genitori? Sembrano sempre più confusi anche perché travolti anch’essi dall’utilizzo massivo delle tecnologie e impreparati a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato nel processo educativo. La responsabilità nelle scelte è sempre più in capo alle famiglie, così come tutte le conseguenze di scelte inadeguate compiute dai singoli genitori. Ma qualcosa si sta muovendo contro la solitudine dei singoli.

L’esperienza è quella dei Patti digitali. L’idea è che non se ne esce da soli: serve un patto tra genitori che aiuti a regolare con tempi e modi ragionati la concessione dello smartphone e a creare una alleanza che consenta di resistere alle pressioni nella concessione dello smartphone. Di cosa si tratta esattamente? Un genitore, un docente, un professionista dello sport, ad esempio, potrebbe decidere di “fare un patto” ossia di farsi promotore di un accordo tra un numero minimo di adulti (8-10 genitori) che decidono di stabilire regole per il proprio contesto territoriale di riferimento. Sul portale sono disponibili tutte le indicazioni più operative per realizzare un Patto.

La letteratura consiglia di aspettare almeno fino alla terza media per concedere lo smartphone, ma le esigenze del territorio possono essere differenti. Pensiamo ad esempio a chi vive in una grande città insicura: potrebbe avere necessità di ritardarne il possesso solo fino alla prima media senza arrivare alla terza. Un Patto prevede, inoltre, di regolamentare i passaggi successivi alla concessione: per quale utilizzo viene concesso lo smartphone? Per quanto tempo al giorno? In questo cruciale è la conoscenza e l’utilizzo dei sistemi di parental control: l’obiettivo del gruppo di ricerca che vede coinvolto il dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale di Milano-Bicocca, Associazione Mec, Associazione Aiart e Slow Working è quello di fornire supporto ragionato in tutto il processo.

Qualcuno potrebbe dire: alcuni genitori potrebbero aderire inizialmente e poi fare un passo indietro. Certamente può accadere visto che qui si rema controcorrente, ma l’obiettivo primario del gruppo di ricerca è il cambiamento culturale. Se pensiamo che fino a 20 anni fa era prassi comune non allacciare ai seggiolini i bambini in auto o mettere lo zucchero nel ciuccio, nel latte e nelle fragole, oggi sappiamo che non si fa quasi più perché nel frattempo si è avuto modo di avviare il cambiamento culturale grazie alle informazioni che la ricerca scientifica è riuscita a darci. Iniziano ad essere diverse le realtà che hanno deciso di aderire ai Patti digitali: tra queste, pioniera è stata l’esperienza di Vimercate, Gemona del Friuli e Pordenone, ma molte altre comunità si stanno interessando tra cui il comune di Milano e alcuni gruppi di Roma, Napoli e Torino.

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