Ci si vergogna un po’ a tornare sui venerdì NoMat con tutto quello che succede nel mondo, ma consideriamolo un auspicio del ritorno a mediocri tempi normali. Si è sentita un po’ la mancanza di un venerdì della stessa risonanza nazionale da parte degli stessi protagonisti su quello che appunto succede nel mondo, ma forse è meglio che ci siamo risparmiati un’altra inevitabile giornata per la pace comechessia.



Cosa ne è rimasto sostanzialmente? Un aumento della percentuale del peso dei risultati del percorso scolastico nel voto di maturità e una promessa di rivisitazione in chiave scolasticistica dei famigerati Pcto (Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento), a partire giustamente dalle condizioni di sicurezza, visto che tutto è partito da due disgraziatissimi incidenti. Visto che nomina sunt numina, si nota nelle discussioni sui social un ritorno all’uso del termine originario, Alternanza scuola-lavoro (Asl), probabilmente anche per rigetto dell’acronimo grillino Pcto, che è sulla stessa lunghezza d’onda ideologica di rifiuto del rapporto con il mondo del lavoro.



Il ministro Bianchi si è mosso con molta diplomazia, ma dietro la spina dorsale del ministero si è intravista la protesi del deep state del governo Draghi. Tuttavia, passati i carnasciali della settimana del Festival di Sanremo, la ferita resta. Non sembra casuale l’aver messo insieme la richiesta di una amnistia scolastica generale con l’ostilità manifesta ad un impegno formativo nel mondo reale. Ambedue le cose sembrano convergere verso il cupio dissolvi della scuola.

L’ostilità e la riluttanza ad attività di training operativo non è di adesso e ha preso a pretesto ben due incredibili incidenti mortali mai verificatisi nei decenni precedenti per richiederne sostanzialmente la cancellazione. Niente di nuovo: una parte del paese vede con diffidenza, se non ostilità, le attività imprenditoriali e la partecipazione dei giovani alle stesse, che viene letta in chiave di sfruttamento.



Parentesi: per chi, come chi scrive, aveva gestito queste esperienze a partire dagli anni Ottanta, suscita un sorriso l’idea che i datori di lavoro ardano dal desiderio di accettare stagisti per spremerne le capacità lavorative. Al contrario si è sempre dovuto sudare per convincerli, perché i ragazzi spesso sono, soprattutto all’inizio, come pulcini nella stoppa; se va male non sanno adattarsi ai vincoli del mondo reale e questo soprattutto i primi della classe! È l’eredità tipicamente italiana di una lettura non accantonata del cristianesimo, e in particolare del cattolicesimo, che ha visto il denaro come sterco del diavolo: non a caso le attività di prestito con interesse erano assegnate agli ebrei. E accanto vi si pone una ispirazione più anarchista che marxista che vede comunque a priori nelle attività imprenditoriali prioritari se non esclusivi gli aspetti dello sfruttamento.

Far fare agli studenti un periodo di inserimento in luoghi di lavoro di diversissimo tipo, dai musei ai cantieri, non è stata peraltro un’invenzione della Buona Scuola di Renzi. A partire dagli anni 80-90 queste pratiche si sono estese ampiamente in tutto il Nord, anche nei licei, i quali peraltro hanno un ampio potenziale campo di attività. Al Sud ciò è avvenuto di meno, non solo perché sono meno presenti e disponibili le attività produttive, ma anche per ragioni ideologiche: un’idea della cultura “disinteressata” tipica di società preindustriali. La Buona Scuola ne ha solo introdotto l’obbligo, obbligo peraltro subito seguito dal grillino ribattezzo nel misterioso acronimo Pcto e oltre che da una ridimensionamento in fondi e durata, vista l’impossibilità di cancellare il tutto, finché si fosse stati in un contesto europeo. Del resto i grillini, plebiscitati dagli insegnanti del Sud anche a questo fine oltre che a quello di abolire le prove Invalsi, sono perfetti rappresentanti di quella ideologia.

Però da una visione della scuola di questo genere ci si aspetterebbe una strenua difesa della cultura disinteressata e del valore dell’esame di maturità. Ha sconcertato invece l’opposizione alla soluzione escogitata dal Miur di mantenere la seconda prova, ma dando il compito alle commissioni – interne, internissime – di formularla. Soluzione morbida, morbidissima, poiché si è sempre saputo che l’unica cosa seria della maturità è la seconda prova specifica degli indirizzi: è notorio che le valutazioni dei temi di italiano sono flessibilissime, per non parlare degli orali. A proposito dei quali va detto che piange il cuore vedere che una cosa in sé rispettabilissima come la presentazione e discussione di una tesina è diventata il ponte degli asini. Non che l’esame di maturità abbia oramai neppure un’aura di rispettabilità come strumento di valutazione attendibile degli studenti. Il confronto che, infine, dopo un decennio di occultamenti si è potuto fare con i risultati delle prove Invalsi, è lì da vedere.

La classifica dei voti medi delle Regioni all’esame è esattamente l’inverso di quella delle prove Invalsi, con Calabria e Puglia intente a contendersi rispettivamente il primo posto alla maturità e l’ultimo nella graduatoria Invalsi.

Il giusto richiamo alla serietà che sta dietro al mantenimento della prova specifica di indirizzo si fonda peraltro su un equivoco, probabilmente dovuto alla scarsa attenzione che anche il deep state riserva al mondo della scuola. Non è il suo mantenimento che può ridare attendibilità all’esame e ai suoi esiti, così come non lo sarebbe il ripristino di commissioni esterne. Un mondo della scuola così ampio quantitativamente e variegato qualitativamente, sia per la componente studenti che anche per quella insegnanti, non si presta ad essere valutato nei suoi esiti dagli strumenti che andavano bene ai tempi della scuola di élite. Perfino in Francia la formula del baccalauréat è da tempo messa in discussione.

La giusta valorizzazione del peso del percorso scolastico precedente, già effettuata da tempo nell’Abitur tedesco, delinea il profilo di una necessaria prova finale light a carattere interno con preponderanti finalità formative di preparazione alle prove ulteriori (colloqui di assunzione al lavoro, prove selettive di accesso all’università, oltre che eventuali esami universitari).

L’attestazione dei reali livelli di apprendimento raggiunti nelle competenze base è un’altra cosa. Sono riprese le prove Invalsi di quinto anno. Gli oppositori hanno ottenuto che anche per quest’anno non siano presupposto dell’accesso alla maturità come previsto dalla norma. Così come a suo tempo ci fu grande battaglia per evitare che il certificato di maturità riportasse anche i risultati di queste prove. Vittorie di Pirro?

Non tutti si sono accorti che ormai la maturità si avvia, con il gran pavese della pomposa definizione di esame di Stato, sul binario morto.

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