La promozione nel Paese e in particolare nella scuola di una cultura della “legalità” (intesa come impegno almeno morale contro tutte le mafie) passa soprattutto attraverso la commemorazione delle vittime dei delitti e delle stragi di Cosa nostra. Certo, è importante e doveroso ricordare con gratitudine l’esempio di chi ha messo i propri talenti al servizio della collettività, spesso sapendo di rischiare la vita. Però sul piano che possiamo chiamare pedagogico sarebbe bene riflettere sull’effettiva efficacia di una “memoria” intesa come riproposizione in dosi massicce di tremendi spettacoli di morte e distruzione o delle numerose scene di omicidi “eccellenti” che si sono susseguiti nei decenni.
E questo non tanto per il rischio di assuefazione, che è sempre dietro l’angolo anche per gli argomenti più coinvolgenti della nostra storia, quanto piuttosto per il pericolo di creare, soprattutto nei ragazzi, un senso di impotenza e pessimismo di fronte all’efficienza criminale della mafia; e tanto più se a questo si aggiunge (come nel caso della presunta “trattativa”) l’evocazione di collusioni dello Stato con la mafia, date per sicure da inchieste giudiziarie e da organi di stampa, e poi clamorosamente smentite di recente.
È certamente per questo che nelle scorse settimane il Presidente della Repubblica ha sentito la necessità di dire, fra l’altro, che “fare memoria però non è soltanto un omaggio doveroso a donne e uomini di grande valore. La memoria di Falcone e di Borsellino comprende, per noi, la ribellione civile all’oppressione mafiosa che, da quei drammatici giorni, da Palermo e dalla Sicilia, ha avuto un enorme sviluppo. Comprende la reazione dello Stato che ha condotto a successi importanti. Comprende le riforme legislative e ordinamentali che sono state adottate proprio seguendo le intuizioni e le proposte di Falcone e Borsellino”.
Con queste parole Mattarella prende chiaramente le distanze sia da una memoria a una sola dimensione (con gli effetti indesiderabili richiamati sopra), sia dall’idea che le istituzioni a cui spetta la lotta alla criminalità debbano per forza essere oggetto di diffidenza da parte dell’opinione pubblica; e ne rivendica invece i “successi importanti”.
Si spera che questo richiamo non venga lasciato cadere, ma orienti in una direzione più utile sia i media che la scuola, in modo da dare rilievo soprattutto a quello che si è fatto e che si sta facendo contro la mafia, ovviamente anche sulla scorta del prezioso lavoro svolto dai tanti che proprio per questo sono stati assassinati. Lasciamo perdere le iniziative solo di parata, tra cui le “navi della legalità”, che coinvolgono una microscopica percentuale degli studenti e per di più costano molto.
Facciamo conoscere invece, solo per fare qualche esempio, le eccellenti indagini del vicequestore Ninni Cassarà e dei suoi collaboratori che fruttarono il primo organigramma completo di Cosa nostra; le intuizioni e l’iniziativa legislativa di Pio La Torre, che indicò la strada dell’illecito arricchimento come via maestra per le indagini sulla mafia; e naturalmente le idee innovative e il grande lavoro di Giovanni Falcone, che riuscì a ottenere dal suo rapporto con Tommaso Buscetta rivelazioni di incalcolabile importanza; sulla base delle quali metterà in piedi il processo in cui furono condannati 346 imputati, per un totale di 19 ergastoli e 2.265 anni di carcere. Presentiamo ai ragazzi la lotta contro la mafia per quello che, di fatto, è: un’epica dei nostri giorni, con battaglie vinte e perse, con eroi vittoriosi che poi soccombono, ma dopo aver colpito duro e aver lasciato, per chi viene dopo, una preziosa eredità di idee e di esperienze.
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