Un percorso di collaborazione tra scuole, enti locali e istituzioni in vista della riapertura delle scuole. È il progetto #vogliamofarescuola lanciato dalla Fidae, la Federazione delle scuole cattoliche primarie e secondarie, che si rivolge a tutto il mondo della scuola, quella non statale e quella statale, “anche perché dal 2000 facciamo parte del sistema pubblico integrato che ingloba sia le realtà statali che quelle paritarie” spiega Virginia Kaladich, presidente dal 2015 della Fidae. Vogliamo porci un unico grande obiettivo: guardare al futuro delle nuove generazioni”. Perché, aggiunge, “i nostri bambini, i nostri ragazzi in questo periodo soprattutto sono stati chiamati a una sfida estrema. In poche ore e in pochi giorni la loro vita è cambiata, diventando completamente diversa, ma non possiamo continuare a fare scuola da soli, bisogna saper individuare strade nuove”.
Presidente Kaladich, cos’è #vogliamofarescuola e cosa vi ripromettete con questa campagna che avete lanciato recentemente?
La scuola, anche nell’emergenza Covid-19, pur lavorando con una modalità nuova, non si è fermata. Sono state settimane laboriose, in cui accanto alla didattica a distanza le scuole hanno cominciato a pensare non solo a come tornare a scuola in sicurezza, ma a come rimotivare al valore più profondo della scuola studenti, insegnanti e famiglie.
E in questa situazione che cosa è emerso?
È emerso con grande chiarezza che non possiamo continuare a fare scuola da soli. Per guardare avanti insieme bisogna sapersi ascoltare, dialogare e saper individuare strade da percorrere in sinergia con i genitori, i docenti, gli studenti, le istituzioni. Per questo, la Fidae ha lanciato la campagna #vogliamofarescuola, un’iniziativa per approfondimenti e proposte su contenuti, spazi e tempi, con il supporto di massimi esperti nell’ambito antropologico cristiano, pedagogico, didattico, economico, urbanistico e sanitario. Tutto per garantire, in una situazione nuova, il benessere delle bambine, dei bambini, dei ragazzi, dei giovani, di cui continueremo a prenderci cura.
Dunque si tratta di un’iniziativa rivolta solo agli alunni?
No, l’iniziativa coinvolge anche genitori, docenti, personale amministrativo, tutti coloro che, anche in fase di emergenza, hanno permesso alla trasmissione del sapere di andare avanti. Vogliamo fare scuola vuol dire provare a mettere insieme il Manifesto della scuola che sogniamo, per andare alla radice delle nostre esperienze educative, ma anche aprendoci a prospettive nuove quali l’ambiente, la cultura digitale, l’intelligenza connettiva, l’empatia. Al riguardo abbiamo realizzato uno spot molto bello. Vogliamo dire ai nostri ragazzi che li stiamo aspettando e alle loro famiglie che ci prenderemo cura dei loro figli, con responsabilità e sicurezza.
Come sta andando il lancio?
Bene, la campagna ha trovato già tante manifestazioni di interesse da parte di scuole, istituzioni, associazioni, enti, fondazioni, imprese. Tutti insieme per sostenere il sistema pubblico scolastico, statale e paritario, perché la posta in gioco è grandissima: il futuro delle nuove generazioni.
Come rimotivare, secondo lei, al valore più profondo della scuola studenti, insegnanti e famiglie dopo settimane di assenza di lezioni in presenza?
Possiamo intanto dire che il valore profondo della scuola, quel patto educativo che abbiamo stabilito con le famiglie, noi non lo abbiamo mai perso e ci ha guidato anche in questo periodo così difficile. È una responsabilità che abbiamo sentito ancora più forte. Ecco perché in tantissimi nostri istituti, già dai primi giorni di marzo, è stata organizzata la didattica a distanza, ed è stato lo stesso motivo che ci ha spinto a mettere in piedi una task force, i cui componenti hanno lavorato a titolo totalmente gratuito, per aggiornare e aiutare i docenti a perfezionare le loro videolezioni sotto vari aspetti.
In che modo?
Abbiamo messo in piedi webinar e meeting che sono stati molto partecipati da insegnanti provenienti da tutto il sistema pubblico d’istruzione, statale e paritario. Io credo che per rimotivarci dovremmo partire da quanto di buono è stato fatto in questo periodo, con la consapevolezza che le lezioni in presenza non possono essere sostituite: un momento di silenzio spesso vale più che tante parole dette in chat e a volte basta uno sguardo o un sorriso per rimotivare uno studente.
Com’è possibile compendiare esperienze educative consolidate e modalità di apprendimento nuove legate, ad esempio, al digitale e all’intelligenza connettiva?
È un passaggio ormai obbligato. Credo che la pandemia ci abbia messo di fronte a una realtà che era già cambiata, non a caso le scuole più tecnologiche, quelle che avevano impostato alcune lezioni con metodi innovativi come la “didattica capovolta” o si erano munite di strumentazione avanzata, sono state quelle che si sono trovate meglio. Non credo che ci vorrà molto per mixare nella maniera giusta questi due approcci, perché i nostri ragazzi usano già nuovi strumenti per comunicare e per apprendere. Spesso siamo noi insegnanti che dobbiamo aggiornarci ed entrare nei loro canali di comunicazione per poter trasmettere loro il sapere. Certo, questo può avvenire a patto che tutti siano davvero messi nelle condizioni di poter fare la nuova scuola: e bisogna dare aiuti per l’acquisto di device, sia alle famiglie che ai docenti, e poi bisogna far arrivare la connessione su tutto il territorio.
Il tema della ripartenza dell’anno scolastico a settembre preoccupa molti operatori della scuola: gestori, coordinatori, insegnanti, famiglie e studenti. Quale apporto potrà dare la collaborazione tra scuole, enti locali e istituzioni in vista della riapertura delle scuole?
Il dialogo e la collaborazione tra i diversi soggetti, in un momento come questo, sono fondamentali. Non mi piace paragonare questo periodo al dopoguerra come è stato fatto da più parti, ma va detto che da un’emergenza simile se ne esce solo se si marcia tutti verso un unico obiettivo: per questo chiediamo alle istituzioni, partendo dal livello più alto, quindi dal ministro dell’Istruzione, che vengano prese in considerazione le richieste e anche i suggerimenti di chi la scuola la vive 365 giorni l’anno, dalle 7 del mattino fino alla sera, quando si finiscono i compiti o si preparano le lezioni per il giorno dopo. Gestori, coordinatori e insegnanti non aspettano altro che delle linee guida chiare e condivise da cui partire per programmare con serenità il futuro dei nostri studenti, che vuol dire anche il futuro del nostro paese.
Per concludere, tornando al tema iniziale della campagna #vogliamofarescuola, chi volesse aderire può farlo e come?
La campagna è aperta a tutti. Anzi, c’è ancora tempo per dare la propria manifestazione di interesse: si può andare sul nostro sito web e compilare l’apposito form. Poi saremo noi a ricontattare chi è interessato per chiedergli se vuole partecipare ai gruppi di lavoro o darci una mano a livello di comunicazione.
(Marco Lepore)