1. C’è una bambina di undici anni che ogni mercoledì e giovedì fa 7 ore e mezza di scuola, consecutive, senza un attimo di pausa pranzo: entra alle 8 ed esce alle 15:30. Non ci sarebbe altro da aggiungere. 7 ore e mezza sono un’aberrazione contro i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, la violazione di qualsiasi norma sindacale. A mio avviso già 6 ore rasentano l’indecenza, ma costituiscono lo scotto da pagare pur di liberarsi il sacro weekend borghese: figuriamoci se ci aggiungiamo la coda del violino o della palestra, al salutare orario 14-15:30.
L’articolo potrebbe finire qui. Genitori di tutto il mondo, unitevi! Invece no, nessuno grida all’ingiustizia. In chat si sbracciano per altro, tipo le gite. E io, che mi permetto addirittura di scriverne, otterrò solo che i diretti interessati si offendano. Meglio sarebbe tenersi tutto dentro, come chi subisce violenza e deve per giunta viverla come una vergogna inconfessabile.
2. Dopo 7 ore e mezza si torna a casa e, per il giorno successivo, ci sono 7 materie da studiare. Storia di un ordinario mercoledì pomeriggio: 20 pagine, più una ricerca facile facile su Israele e Palestina, più un cartellone, più esercizi vari, più la teoria di violino. Giusto quel giorno capita la riunione per le elezioni dei rappresentanti. Il coordinatore snocciola i progetti di ampliamento dell’offerta formativa: ancora si amplia?!? Corsi di inglese, teatro, problem solving, sport vari, certificazioni, curvature. A quale ora della notte riusciranno mai a fare tutte ’ste cose, i figli bionici altrui?
Che poi, sinceramente, non è che abbiano proprio l’aria dei geni: casomai degli obesi. Si ingozzano di tutto il buffet e poi vanno a diarrea. Bocca vorace, fegato spappolato. Stanno sempre a scuola e non capiscono una mazza di niente. Lasciamo perdere, limitiamoci ad alzare la manina: “senta, professore, lei sa chi in questa classe frequenta l’indirizzo musicale?”. Non sa. Incalzo: “lei ha idea di quante pagine abbiano da studiare per domani?”. Ignora anche questo, minimizza.
Il campo visivo di un insegnante è di solito limitato esclusivamente alla propria materiuccia e al proprio programmino, prescinde non appena dall’orizzonte esistenziale (non sa quale sia il suo cuore), ma finanche dall’orizzonte scolastico (non sa quale sia il suo orario). Se ti permetti di constatare che dopo 7 ore e mezza ce ne vogliono almeno altre 3 per i compiti, e che superare le 10 ore è contronatura, ti imbottiscono di prediche sui sacrifici come amara medicina della vita, di aneddoti sulla loro adolescenza claustrale, ovviamente sull’immutabile programma che, costi quel che costi, must go on, sulla necessità di anticipare i compiti in settimana (immagino intendano: la domenica a pranzo). Pare non abbiano mai avuto un figlio o parlato ad armi pari con un ragazzo. Se dopo un mese di medie la scuola ti ottunde il cervello da quando ti svegli a quando ti addormenti, è prevedibile che al liceo si vada avanti a tisane e ansiolitici. Ma a questo mondo poco importa dell’anima e del corpo.
3. Infatti al liceo un giorno alla settimana hanno bisogno di assentarsi: non per andarsene a spasso, ma per rimanere al passo con lo studio. Una mattina la classe si presenta semivuota. Interpretazione unilaterale degli insegnanti: scappano dalle verifiche. Eppure basterebbe chiedere.
“Buongiorno prof, in realtà non credo di essere scappata, o almeno non volontariamente. Ieri ho studiato una materia più o meno fino alle 23, fra una crisi e l’altra. Pur non avendo finito di studiare tutto ciò che era stato assegnato, ero intenzionata ad andare ugualmente a scuola, ma stamattina mia mamma ha tolto la sveglia che avevo impostato ieri sera e per la stanchezza mi sono svegliata alle nove. Evidentemente mia mamma si è accorta che, dopo tre giorni così stressanti a causa dello studio, non avrei retto anche il quarto. Si è accorta lei prima di me dei miei limiti. Imparare a gestire l’ansia è una delle tante sfide che impariamo ad affrontare alla nostra età, ma forse è meglio fermarsi prima di arrivare a un punto di rottura. Questo vale in generale, ma parlando di me ancora di più, perché è da quando ho 7 anni che soffro di attacchi di panico. Nell’ultimo periodo la situazione è migliorata e non mi succede più ormai da qualche mese. Capisco la preoccupazione dei miei genitori che possa tornare a stare male e per questo credo che, alla fine, mia mamma non abbia sbagliato a pensare prima alla mia salute. La scuola ha sempre intensificato i miei periodi no. Ne abbiamo parlato stamattina, io e i miei genitori, del perché abbiano ritenuto meglio per me non farmi andare a scuola. E mentre parlavamo ho prestato attenzione alle loro parole tranquille che cercavano di mascherare lo sguardo preoccupato che possa tornare a stare male. Era lo stesso sguardo che avevano quando ero bambina e andavamo dai medici per capire cosa avessi. E non so cosa darei per non vederlo più. La mia assenza di oggi è stata una questione di priorità, quella di stare bene io e di far stare tranquilli i miei genitori. Grazie per avermelo chiesto, prof”.
4. Conclusione: ricordate quando, durante la pandemia, si poneva il dilemma fra lavoro e salute? Lavorare rischiando di ammalarsi o rimanere a casa per non ammalarsi? Ecco, c’è chi l’alternativa la sente troppi giorni a scuola: fra lo studio (matto e disperatissimo) e la salute (mentale). Vogliamo, colleghi, mettere in discussione le quantità abnormi e le modalità assurde con cui ci ostiniamo a concepire la scuola?
Astenersi perditempo: questa domanda non è rivolta a chi sa solo difendersi (“e allora cosa vogliamo fare? la scuola degli ignoranti? Ci vogliono il bastone e la carota, sul posto di lavoro non ti guarda in faccia nessuno, perché poi gli esami, poi l’università, poi la vita…”); né riguarda gli sfaticati, che tanto, non studiando, non hanno motivo di angosciarsi e di assentarsi; chi ha capito il gioco e ci sguazza dentro; quelli che sdrammatizzano perché di fatica non è mai morto nessuno; i secchioni piccoli che riescono in poco tempo; i secchioni grandi che riuscivano in poco tempo e adesso magari insegnano; quelli per cui l’importante è che il treno del programma arrivi in orario, e pazienza se ci arriva vuoto.
Pascoli la pensava diversamente: “lo studio deve essere diretto a togliere più che ad aggiungere: a togliere la tanta ruggine che il tempo ha depositata sulla nostra anima”. Chi si preoccupa, assegnando i compiti, che il cristallo dell’anima dei suoi alunni possa tornare limpido?
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