Ultima ora di lezione. I ragazzi convocano noi docenti in classe per farci assistere ad un video dove hanno piacere di ringraziarci per i tre anni splendidi passati con loro. Immagini, video, un mix di emozioni. La gita sulla barca nel Golfo di Napoli, gli spettacoli teatrali, le escursioni, i progetti. Cinque minuti con foto delle lezioni poi i saluti finali con i ringraziamenti fatti a uno a uno per la simpatia, la preparazione, la severità, la correttezza e così via. Una vita. Tre anni ricchi di avvenimenti, di legami, di affetto smisurato… di grandi arrabbiature. “Ma caro prof. lo sappiamo che ci vuole comunque bene! Non vi dimenticheremo”. Pochi minuti di video. Alla fine un pianto improvviso e smisurato coinvolge alunni e docenti. Tutti in lacrime. Che faccio? Non riesco a commuovermi. Perché?
Mi viene da pensare. Da una parte la considerazione che viene immediata è che la fragilità di un ragazzo aumenta nel momento in cui perde dei punti di riferimento, dei contatti soprattutto con persone adulte presenti, che lo hanno accompagnato in esperienze nuove che difficilmente si possono ripetere. Un rapporto ancora più stabile rispetto a certe “assenze” di famiglia. Tale distacco può portare evidentemente ad uno smarrimento. Dall’altra parte viene da considerare che in certi momenti gioca molto anche un aspetto condizionato dal resto della classe. Come dire, piangono gli altri, piango anch’io. Ma non voglio sminuirne il valore. Certo è che un ragazzo che apre poco la sua finestra del desiderio avrà poca ansia e curiosità nell’attesa del nuovo, del mistero.
Capisco l’affetto e i ricordi, ma se è vero, come è vero, che il desiderio più grande di un ragazzo è diventare uomo, allora anche l’aver condiviso con i professori dei momenti belli, magici, può solo riempire di gratitudine la vita, può solo esaltare la verità di ciò che si è vissuto, e non si può dare troppo spazio ai ricordi. Almeno non adesso. Certo, mi rendo conto che dipende dalla struttura emotiva di ciascuno, poi ad una certa età, una base di razionalità e cinismo (ma anche di vera ragione) prende il sopravvento. I miei ricordi sono incentrati su un’esperienza fatta con amici, con compagni di classe con i quali si condivideva tutto, in particolare la voglia di essere grandi, di passare alle superiori, di essere finalmente “liberi” come i nostri fratelli.
Ecco! Proprio il fascino dell’incommensurabile ci prendeva. Il fascino della libertà. Quella sorta di imprevedibilità che illuminava gli occhi di noi ragazzotti di 13 anni. Avremmo avuto finalmente la possibilità di uscire di più, avremmo avuto maggiore autonomia, un mondo più maturo, avremmo spalancato una finestra onestamente più ampia! L’abbandonare una scuola con i suoi professori era ben poca cosa rispetto al desiderio che si aveva di conquistare il mondo, di diventare grandi, di rimanere insieme, di progettare con più ampio respiro. Personalmente ho sempre avuto ottimi rapporti con tutti i docenti, ancora adesso li ricordo uno ad uno. Ma la gioia del passare a un grado di scuola superiore di istruzione mi riempiva il cuore di gioia, di attesa intrepida, di fuoco. Addirittura ricordo il classico lancio dei libri in aria a scuola finita. Ci si spalancava ad una realtà incommensurabile.
Mi vengono alla mente delle parole di don Giussani che leggevo in questi giorni. Forse il confronto è un po’ forzato ma nella sua essenza, prima o dopo, la realtà chiede inesorabilmente una scelta. Diventare grandi o rimanere ancorati ad un passato? “Di fronte al suo destino, al senso ultimo di sé, l’uomo immagina le sue vie, proiezione delle sue risorse, ma, nella misura della serietà del suo pensiero e della sua emozione, soffre l’enigma ultimo come bufera d’incertezza o solitudine di smarrimento. Unico aiuto adeguato alla riconosciuta impotenza esistenziale dell’uomo non può essere che il divino stesso, quella divinità nascosta, il mistero, che in qualche modo si coinvolga con la fatica dell’uomo illuminandolo e sostenendolo nel suo camminare”. Ecco, la categoria della possibilità si palesa come unica apertura plausibile al nuovo. Altro è chiusura.
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