Può tornare la religione ad avere importanza nella scuola, non solo come “materia”, ma addirittura come sfondo di un dialogo ininterrotto tra insegnanti e alunni?
La novità della storia presente, per quanto riguarda il rapporto della Chiesa con il mondo, è probabilmente quella purificazione della religione ad opera della ragione che nel suo magistero auspicava papa Benedetto XVI (cfr. in particolare il discorso a Westminster, Londra, del 17 settembre 2010). Una purificazione che, sottolineava, è andata di pari passo con l’azione della religione, cui compete di “gettare luce sull’applicazione della ragione nella scoperta dei principi morali oggettivi”. Il mondo della secolarità razionale, così si esprimeva ancora papa Ratzinger, ha contribuito a de-ideologizzare la religione, a separarla dagli orpelli che il potere vi aveva aggiunto onde farne uno strumento di condizionamento delle coscienze.
Tutto questo tuttavia si è verificato solo in determinate circostanze. Quando cioè le società occidentali hanno usufruito della secolarizzazione non solo per distruggere ogni apporto di carattere religioso alla costruzione del bene comune (e ciò come sappiamo è ampiamente accaduto), ma soprattutto per mettere la religione nelle condizioni di potersi esprimere “mettendosi a nudo”, per così dire.
In questo modo l’unica proposta religiosa che ha dimostrato di “tenere” il passo della storia è l’annuncio cristiano come proposta di una rivelazione e liberazione dal limite della condizione di morte fisica ed esistenziale, fondata sull’incontro tra l’uomo che cerca Dio e “un avvenimento, una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte” (Benedetto XVI, Deus Caritas Est, Introduzione). Nella sua essenza di “religione dell’incontro” la proposta cristiana non può che rapportarsi alla libertà di scelta dell’uomo che può accogliere ma anche rifiutare ciò che gli viene incontro. Una libertà certamente condizionata e infragilita da tante deviazioni (pelagianesimo e gnosticismo le definisce, da parte sua, papa Francesco), ma che comunque è valorizzata come caratteristica propria dell’uomo nel suo dialogo con il Mistero.
In questo senso, non c’è dubbio che oggi la religione possa tornare a proporsi, liberamente ma sostanzialmente, come elemento di chiarificazione di un contesto geopolitico mondiale (pensiamo al tema della pace) che non ha contribuito a creare e che può invece permettersi di giudicare aiutando la ragione umana a ritrovare le dimensioni del “retto agire”.
Questa azione di chiarificazione della religione nei confronti della ragione può svolgersi anche in ambiti che finora le erano preclusi (pensiamo al tema dei diritti umani) proprio perché ha accolto, spesso subìto pagando con il martirio dei propri rappresentanti cristiani, la sfida della secolarizzazione.
Un altro ambito dal quale per tanti motivi il suo apporto sembrava essere sospeso è quello dell’educazione. La religione dell’incontro tra il divino e l’umano può tornare ad essere un fattore indispensabile della crescita umana e cristiana di uomini, donne e soprattutto giovani del nostro tempo perché questa religione, il cristianesimo in altri termini, cammina grazie ai testimoni e non all’attività propagandistica. Di questo fattore irrinunciabile per le nostre vite ci stiamo accorgendo mettendo a confronto il nostro scombiccherato mondo “occidentale” con quanto avviene in talune aree geopolitiche prossime o meno prossime alla nostra, dove la religione non ha incamerato dialogicamente la ragione. L’esito del rifiuto è stato il suo trasformarsi in fondamentalismo o in pilastro dell’esaltazione dell’ideologia nazionalistica (i riferimenti vanno non casualmente all’Iran e alla Russia di Putin). In entrambi i casi accennati, la religione si è lasciata strumentalizzare diventando puntello di regimi poco o per niente amici della libertà di scelta.
Ma appunto oggi, almeno da questa parte del mondo, non ci troviamo più nella situazione di dover scegliere tra una religione in qualche modo asservita al “trono” e una società senza Dio. Anche i non credenti percepiscono quanto possa essere determinante per il futuro dell’umanità la forza morale dei testimoni dell’annuncio cristiano, a partire dal primo rappresentante di Cristo in terra: il papa stesso.
Ed è per evitare lo svuotamento e la riduzione a puro esercizio etico di questa proposta, che l’educazione dei giovani oggi può ritrovare con entusiasmo la via della religione. Intesa nella sua profonda connessione con una ragione forse più umile, perché consapevole di non farcela da sola a illuminare il mondo. Proprio qui sta il problema: se vediamo i ragazzi stanchi o sfiduciati, non incolpiamoli di “essere sdraiati”. È la loro ragione che non funziona perché è esaurita quella degli adulti da cui traggono esempio. Il dialogo con loro, attraverso ciò che si insegna, non può dunque rimandare l’appuntamento della ragione con ciò che, superando le apparenze, va al cuore del reale, al suo significato. Non si tratta di fare proselitismo, ma di andare dietro il clima di una nuova epoca.
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