Nel Consiglio dei ministri del 20 aprile il ministro Valditara ha annunciato un piano che, grazie a un forte rilancio della digitalizzazione, dovrebbe favorire famiglie e studenti nel rapporto con la scuola. Il piano prevede, fra l’altro, l’immissione in ruolo di un cospicuo numero di docenti (56mila di cui 19mila insegnanti di sostegno). Ciò avverrà nel contesto più generale delle assunzioni previste per la pubblica amministrazione, anch’essa destinata ad assumere decine di migliaia di persone (addirittura 170mila nel solo 2023).
Sabino Cassese sul Corriere della Sera ha osservato che i nuovi assunti, particolarmente i giovani, non apprezzeranno più di tanto l’immissione nei ruoli amministrativi, perché la loro attenzione si concentra sulle condizioni lavorative, alle quali né il ministro dell’Istruzione e del Merito né quello della Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, paiono dedicare i loro sforzi.
Eppure sembra proprio che la mancanza di alcuni requisiti, quali la corresponsione di stipendi adeguati, il riconoscimento del merito individuale e la possibilità di lavorare in ambienti gratificanti sia alla base della rinuncia all’incarico di molti vincitori di concorso e della grave carenza di personale in alcuni settori, come quello turistico. Molti giovani se ne vanno dall’Italia perché altrove si garantiscono quelle condizioni, possono proseguire la loro formazione e progredire nella carriera. In sostanza, ha concluso Cassese, la crescita quantitativa dei settori amministrativi non corrisponde automaticamente a quella qualitativa.
Il Corriere ha ospitato anche la risposta del ministro Zangrillo, il quale ha osservato come il rapporto tra residenti e lavoratori pubblici, in Italia, sia eccessivamente basso (il 5,6% contro l’8,4% della Francia, il 7,8% del Regno Unito e il 6,8% della Spagna). Dunque, se è vero che non c’è corrispondenza tra quantità e qualità, la carenza di personale, tuttavia, nuoce senz’altro a quest’ultima. Infine, il ministro ha citato alcuni cambiamenti organizzativi, recentemente introdotti al fine di allocare in maniera più razionale i dipendenti “in base ad attitudini ed esperienze acquisite”.
La questione generale della pubblica amministrazione è indubbiamente interessante, ma poniamola da parte e torniamo in specifico sulla scuola. Constatiamo, d’acchito, che è difficile osservare, nell’amministrazione scolastica, quella riallocazione di cui parla Zangrillo. In Toscana, la regione in cui vivo, quello sforzo di razionalità e valorizzazione del personale è, quanto meno, poco visibile. E parlo con generosità… Ma sono i numeri dei dipendenti della scuola a non trovare riscontro con quelli dichiarati da Zangrillo! O meglio: i numeri sono senz’altro veri, ma si hanno due possibilità: o non comprendono l’ammontare dei docenti oppure rappresentano un dato aggregato, dal quale dovrebbe essere disaggregato quello scolastico perché in controtendenza.
Infatti nella scuola, per la quale si prevedono decine di migliaia di assunzioni, i docenti, in rapporto agli alunni, non sono pochi. Ad esempio, se consideriamo i dati pubblicati nel volume della Fondazione Rocca Scuola, i numeri da cambiare possiamo constatare che, per quanto riguarda la primaria, il rapporto è di un insegnante per 11,4 alunni, che è il dato più basso in comparazione con Spagna, Francia, Regno Unito, Germania e Stati Uniti. Addirittura diminuisce in relazione alla scuola secondaria, dove gli alunni per insegnante sono solamente 10,5. Considerando, poi, che il numero complessivo dei docenti non comprende quelli di religione e di sostegno, il rapporto tra insegnanti e alunni si abbassa ulteriormente. Le assunzioni previste, in conclusione, sono ingiustificate.
Andrea Gavosto ne La scuola bloccata, un testo la cui lettura dovrebbe essere obbligatoria in tutto il mondo scolastico e particolarmente per gli amministrativi ministeriali, osserva che la questione cosiddetta delle “classi pollaio”, nelle quali vi sarebbe un sovrannumero di alunni, è priva di fondamento. Certamente esistono classi con un eccesso di alunni, compensate, tuttavia, da altre che sono ben al di sotto della media.
Se davvero, come suggerisce Zangrillo, dobbiamo porre prioritariamente attenzione al merito, il quale “è un valore che, a prescindere dalla nostra volontà, appartiene alla vita di noi tutti”, allora le scelte che il suo collega Valditara dovrebbe fare sono altre. Anzitutto dovrebbe ripristinare un’attività di formazione obbligatoria per i docenti, i quali, nel migliore dei casi, conoscono la loro disciplina, ma certamente sanno ben poco, mediamente, di pedagogia, psicologia e didattica.
Se vogliamo premiare il merito, dobbiamo porci il problema di creare una carriera per i docenti italiani (come in altre nazioni), in maniera tale da superare l’avvilente egualitarismo che grava sulla scuola. Occorre rivedere, infine, la governance della scuola (risalente al 1974), che praticamente ruota attorno alle deliberazioni del collegio dei docenti, posponendo, per ruolo e poteri, il consiglio di istituto, nonostante la presenza in quest’ultimo di una più vasta rappresentanza comprensiva anche dei genitori.
In conclusione, vanno bene gli interventi tecnologici promessi da Valditara, l’innovazione organizzativa e la semplificazione normativa, ma speriamo che tutto ciò non si risolva solamente in nuove assunzioni, per la soddisfazione dei sindacati, i quali pensano soprattutto ad aumentare il numero degli iscritti.
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