In questo parziale ritorno in presenza abbiamo davanti una questione rispetto alla quale non possiamo continuare a far finta di nulla (come abbiamo fatto a settembre): come stanno gli adolescenti e i giovani in questo momento storico? Che conseguenze ha avuto, ha e avrà, su di loro il lungo periodo passato in isolamento sociale, in relazione solo virtuale con compagni e docenti, privati di una realtà scolastica materiale e concreta sostituita dagli schermi della didattica digitale?
Sappiamo già che l’isolamento sociale dovuto al lockdown ha avuto un forte impatto negativo sullo sviluppo psicologico, cognitivo e relazionale di bambini e adolescenti. Ne abbiamo parlato in diversi articoli sottolineando anche che se è importante curare gli aspetti organizzativi della scuola al fine di tutelare la salute, tuttavia questo non basta. Bisogna adottare uno sguardo più ampio, approfondito, attento anche agli aspetti pedagogici e psicologici, come già aveva chiesto l’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani nel lontano agosto 2020, forse senza trovare interlocutori.
Che cosa possiamo fare per trasformare il rientro in classe in un’occasione costruttiva anziché accontentarci di un’agenda di aperture di aule, di revisioni degli orari/tempi scolastici e di riorganizzazioni delle corse dei bus?
Le possibilità sono diverse e si tratta di scegliere tra le più proficue. Una proposta interessante ci viene dagli Usa, dove il Nida (National Institute of Drug Abuse) ha commentato l’annuale e tradizionale survey Monitoring the Future 2020, il rapporto che descrive i comportamenti e le tendenze degli studenti americani nel consumo di sostanze (alcol, cannabis, nicotina, anfetamine, etc.). Secondo Nora Volkow, direttrice del Nida, qualche cosa non quadra nei risultati di questo report. Dai dati si evince un miglioramento rispetto al 2019: in generale il consumo di queste sostanze da parte degli adolescenti, benché sempre alto, è rimasto stabile o è diminuito. Ci sarebbe quindi motivo per essere contenti. Tuttavia la Volkow fa notare che questi dati potrebbero essere poco affidabili: il consumo di sostanze non è aumentato in quanto i ragazzi sono diventati più attenti e responsabili oppure perché la situazione di lockdown ha impedito il consumo di sostanze e una raccolta di dati completa?
La domanda rimane aperta ma, anche per fare un quadro più preciso sulla situazione degli adolescenti, il Nida ha preso un impegno importante: bisogna fare una ricerca seria sul modo in cui lo stress della pandemia ha influito/può influire sul consumo adolescenziale di sostanze, bisogna investigare sulle conseguenze del distanziamento sociale, delle classi virtuali e della didattica a distanza sulle dinamiche individuali e di gruppo che portano a sperimentare le droghe. E, dice Volkow, gli Usa stanno già stanziando fondi e risorse supplementari per valutare le conseguenze della pandemia sul consumo giovanile di droghe, sull’accesso ai servizi di prevenzione e cura, e anche sull’impatto che la pandemia ha avuto nella vita delle famiglie di questi adolescenti. In sintesi: investiamo in ricerca per capire in che modo i lockdown e la chiusura delle scuole influiscono, positivamente o negativamente, sull’uso che gli adolescenti fanno delle droghe e dell’alcol.
Sarebbe utile se anche nel nostro Paese si investisse in questa direzione: mentre il Covid-19 tocca raramente i più giovani, le droghe e l’alcol sono capaci benissimo di distruggerli. E lo stanno già facendo senza che nessuno lo impedisca.
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