In seguito al Pnrr, che prevede la riforma del reclutamento degli insegnanti, si torna a parlare di formazione iniziale dei docenti della scuola secondaria. Il dato che sembra acquisito dalla cultura scolastica del nostro Paese è che l’abilitazione all’insegnamento non debba coincidere con l’assunzione da parte del sistema di istruzione. Stante questa distinzione, è opportuno interrogarsi (e per questo stanno fioccando iniziative, interventi e dibattiti) su come si possa ridisegnare il percorso di formazione con annessa abilitazione.



Due scuole di pensiero, per modo di dire, si stanno confrontando: la prima prevede la formazione abilitante dopo il percorso di laurea magistrale; la seconda un percorso di laurea abilitante, cioè una formazione abilitante già inclusa e accreditata nel titolo di laurea. Forse una riflessione sul passato può aiutare la comprensione delle necessità presenti.



In un tempo che fu, corrispondente quasi ad un’era geologica fa, ci furono le Ssis (Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario), itinerari contenutistici e didattici svolti dalle università dal 1999-2000 al 2008-2009, il cui limite era quello sopra accennato: l’immissione diretta nelle graduatorie permanenti per l’insegnamento, trasformate poi in graduatorie ad esaurimento, con l’inevitabile accrescimento del fenomeno del precariato.

L’offerta successiva, chiuse le Ssis, furono i Tfa (Tirocini formativi attivi) di durata annuale e svoltisi negli anni 2012-13 e 2013-14. Sganciati dalle graduatorie e con maggiore partecipazione delle scuole, prevedevano prove di accesso piuttosto selettive.



I successivi Pas (Percorsi abilitanti speciali), attivati dal 2013 al 2016, non contemplavano la selezione in ingresso. Furono poi aboliti e sostituiti nel 2018 da un sistema completamente diverso: acquisizione di crediti formativi universitari (24 Cfu) per accedere al concorso per docenti. Con questo capovolgimento, e diversa filosofia della formazione docente, l’accento era posto sul concorso (da ripetere biennalmente) per raggiungere l’abilitazione e/o l’immissione in ruolo del docente.

Ora, il Pnrr stabilisce di voler immettere 70mila docenti entro il 2024. Come? L’orientamento del Miur è quello di un concorso che certifichi anche le competenze didattiche dei docenti, seguito da un anno di tirocinio nella scuola. Dunque, la questione del percorso formativo abilitante non è risolta. E si torna all’inizio del discorso: in sostanza, è l’università che abilita (laurea abilitante o master post-laurea) o è una qualche forma di tirocinio formativo e sottoposto a un attento tutoraggio che può permettere di acquisire le abilità docenti?

Posto che il mercato dei crediti formativi è indegno, probabilmente, come sempre, la strada migliore è quella intermedia: l’abilitazione è da porre al termine di un percorso di studio nel quale la formazione del docente all’insegnamento sia vagliata anche dalla scuola attraverso opportuni inserimenti di docenti esperti negli insegnamenti disciplinari universitari. Prima di giungere a definire i meccanismi occorre comunque chiedersi: di quale docente ha bisogno la scuola? La domanda ha un risvolto che suona così: di quale educatore ha bisogno oggi l’alunno?

Dall’esperienza di questi ultimi tempi si possono ricavare questi spunti: la scuola ha bisogno di docenti che abbiano un orizzonte che va oltre lo stretto ambito della disciplina e della classe. Nello stesso tempo gli alunni hanno bisogno di docenti capaci di introdurli nella realtà complessa attraverso ciò che insegnano.

La professionalità docente è ancora una volta messa in questione. Essa è fatta di libertà, autonomia, capacità educativa, interesse per la cultura (capacità di giudizio) e passione per la sua trasmissione. Rimandando l’approfondimento di questi temi ad altre riflessioni, si potrebbe dire: la nuova identità del docente non può essere il prodotto del laboratorio ministeriale o politico, semmai il frutto di testimonianze già in atto che è importante raccogliere e sistematizzare.

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