Le scuole italiane sono impegnate in questi giorni nell’esame del Piano Scuola 4.0 – Azione Next Generation per la trasformazione delle aule in ambienti innovativi di apprendimento, un progetto previsto dal Pnrr che, se approvato dagli organi collegiali dei singoli istituti, costituirà la più grande innovazione didattica, pedagogica e organizzativa che abbia finora interessato la nostra scuola. Fra le tipologie più innovative del Piano, finanziato da fondi specifici del Pnrr, vi è il Modello Dada (Didattica per ambienti di apprendimento) destinato a rivoluzionare negli anni la scuola dalle fondamenta: prevede la costruzione di aule specificatamente attrezzate a seconda delle esigenze didattiche dei diversi settori disciplinari, tecnologicamente aggiornate, in cui saranno gli studenti, non i docenti, a spostarsi.



Il paradigma su cui si fonda è quello dell’insegnamento-apprendimento per rendere i giovani attori responsabili della loro formazione: si cerca così di fronteggiare i risultati scoraggianti delle indagini Pisa, che attestano un grave gap dei nostri studenti rispetto alla media europea. Si farà leva sull’interazione mente-corpo e sulle dinamiche motivazionali dei ragazzi, grazie ad ambienti più piacevoli e coinvolgenti, “fluidi e dinamici”, in cui gli allievi saranno stimolati ad apprendere attraverso strumenti tecnologici molto avanzati. I modelli culturali e pedagogici di riferimento sono quelli del costruttivismo di Vygotskij e di Bruner, della pedagogia attiva di Dewey, con una spruzzatina di Montessori e di don Milani, delle teorie di C. Rogers sulla centralità dello studente. Il sito scuoledada.it spiega in dettaglio il progetto, con tanto di “Manifesto delle scuole Dada”, elaborato in gran parte da Ottavio Fattorini, dirigente tecnico del ministero dell’Istruzione e del Merito, e anticipato in via sperimentale da qualche istituto.



All’ordine del giorno vi è poi un altro discusso provvedimento lanciato dal ministero, il “Piano per l’orientamento”, che prevede l’introduzione di nuovi moduli curricolari e l’istituzione di due nuove figure, il tutor e l’orientatore, a “supporto di studenti e famiglie per consentire loro di fare scelte consapevoli per il futuro, nello studio e nel lavoro”, leggiamo dal sito del ministero.

Queste novità dovrebbero già andare in porto per il prossimo settembre, anche se si ha ragione di dubitare sull’attuazione nei tempi previsti. Analoghe perplessità riguardano l’utilizzo degli spazi e delle strutture, considerato lo stato dei nostri edifici scolastici, in gran parte vetusti, fatiscenti e inadeguati rispetto alle moderne esigenze didattiche. In Italia, come accade spesso, prima si pensa alle leggi e poi si adattano spazi e strutture, quando ragionevolmente dovrebbe essere il contrario.



Di fronte a tali radicali proposte di rinnovamento, i docenti si sono divisi. Gli insegnanti italiani, tradizionalmente conservatori al di là dei loro orientamenti politici, tendono a rifiutare qualsiasi novità che comporti qualche temuto cambiamento; inoltre, bisogna considerare che la proposta arriva a fine anno scolastico, senza che vi sia stato il tempo necessario per esaminarla a dovere. Altri spingono invece per approvare il Piano, sic et simpliciter, all’insegna del “Prendi i soldi e scappa”: non possiamo perdere questa ghiotta occasione, si dice; dobbiamo allinearci con la rivoluzione digitale in atto, in caso contrario la scuola resterebbe inevitabilmente indietro rispetto alla rapidissima evoluzione della società.

Evidentemente nelle proposte ministeriali vi sono delle zone d’ombra che autorizzano dubbi tra chi le boccia, così come suscitano perplessità le motivazioni di coloro che ripongono una fiducia acritica sulle novità, specialmente tecnologiche, che dovrebbero rispondere ai mali antichi e nuovi della nostra scuola, in primis il disagio dei nostri giovani. Preoccupazioni entrambe legittime e anche giustificate, ma che danno per scontato il cuore dell’educazione, che è sempre il rapporto tra studente e insegnante. Raramente questo tema rientra nella prospettiva del legislatore, e non è detto che sia sempre un male. Accade invece che uno studente colga acutamente il nocciolo del problema. In un tema, scrive: “Lo si vede appena entra in classe, se uno è un professore. Si vede da come parla, da come si muove, da come riesce a carpire l’attenzione degli studenti e dalla dignità che dimostra quando ci guarda negli occhi. Di professori così ne ho trovati, ma sono sempre stati due o tre su un corpo docenti composto da dieci”.

Stupisce come un ragazzo dei nostri giorni abbia un’intuizione che richiama il famoso giudizio di Pasolini sul suo maestro di Storia dell’Arte Roberto Longhi. E pensiamo alle pagine altrettanto celebri di Recalcati ne L’ora di lezione, dedicate alla supplente di italiano del suo ultimo anno di scuola superiore, che lo strappò dalle tentazioni del nichilismo e della violenza; a Il primo uomo di Albert Camus, eternamente grato al suo maestro, di cui si ricorderà fino all’attribuzione del Premio Nobel; a Daniel Pennac, nel suo memorabile Diario di scuola, da cui ricaviamo questa perla: “È immediatamente percepibile, la presenza del professore calato appieno nella propria classe. Gli studenti la sentono fin dal primo minuto dell’anno, lo abbiamo sperimentato tutti: il professore è entrato, è assolutamente qui, si è visto dal suo modo di guardare, di salutare gli studenti, di sedersi, di prendere possesso della cattedra. Non si è disperso per timore delle loro reazioni, non si è chiuso in sé stesso, no, è a suo agio, da subito, è presente, distingue ogni volto, la classe esiste subito davanti ai suoi occhi”.

Ed ancora, pensiamo al Pasolini delle Lettere luterane, soprattutto al trattatello pedagogico Gennariello, scritto negli ultimi mesi di vita del poeta, tutto centrato sull’importanza della sacralità e dei sentimenti. Nel volume Pasolini e la pedagogia, che raccoglie gli atti di un convegno organizzato da Centro Studi Pasolini di Casarsa, leggiamo questa folgorante riflessione di Fabio Pierangeli: “La vita comincia quando vi irrompe una novità bella e felice, una cosa imprevedibile e inaspettata. Allora la vita comincia nuova e tutto quello che c’era prima diventa subito irrimediabilmente vecchio, passato, nostalgia. Finisce. Ecco perché la vita finisce dove comincia. È un augurio. Che la vita cominci! Che accada un inizio”. Questa è la riforma che vogliamo.

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