il quarto incontro dei Pomeriggi Maturandi 2021, organizzati da Portofranco di Milano, ha avuto luogo lunedì 22 marzo scorso. Il tema “Una cosa si salva sull’orrore”: la letteratura del Novecento dentro la crisi è stato affrontato da Valerio Capasa, insegnante di materie letterarie nei licei e critico letterario.
Il relatore ha subito chiarito il tema della crisi, dicendo che di crisi in letteratura si è sempre parlato: “la normalità non è mai esistita – ha detto rimarcandolo –, la normalità non esiste. Chi frequenta la letteratura sa che gli scrittori hanno sempre puntato gli occhi su quanto esula dalla normalità anche in tempi apparentemente normali; non hanno avvertito una crisi soltanto durante le guerre mondiali e le dittature, ma anche in tempi di belle époque, di ricostruzione, di boom economico”.
Per questo la questione seria è quella di che cosa salva dentro la crisi e come la letteratura ha dato voce agli spiragli di positività che si aprono in ogni situazione.
Capasa ha così ripercorso la letteratura del Novecento alla ricerca di squarci che aprano prospettive sempre nuove: un intervento molto ricco e di alta qualità il suo, con brani di Manzoni, Svevo, Pavese, Rebora, Michelstaedter, Montale, Moravia, Ungaretti, McCarty, senza dimenticare chi questa domanda l’ha posta con grande genialità e forte tono esistenziale Giacomo Leopardi.
Significativa e pungente la citazione iniziale di Capasa: anche se non del Novecento, una poesia di Charles Bukowski aiuta molto a capire il tempo che stiamo vivendo.
Ha scritto Bukowski:
Adesso ci sono computer e ancora più computer,
e presto tutti ne avranno uno,
i bambini di tre anni avranno i computer
e tutti sapranno tutto
di tutti gli altri
molto prima di incontrarli
e così non vorranno più incontrarli.
Nessuno vorrà incontrare più nessun
altro mai più
e saranno tutti
dei reclusi
come me adesso.
Una citazione che legge molto bene la condizione in cui stiamo vivendo e che apre la sfida del bisogno che l’uomo porta; è il bisogno di uscire da se stesso e di incontrare l’altro e gli altri.
Da questa immagine dell’oggi il relatore ha iniziato il suo viaggio dentro la letteratura del Novecento mostrando come essa sia stata lo specchio della vita, abbia mostrato la cifra della crisi, il diventare tutto uguale e ripetitivo, giornate che non hanno nulla di diverso da quelle che le precedono. Così gli uomini d’oggi sono come quelli che descrive Michelstaedter in trincea, dove domina l’uniformità: ieri chiusi in trincea a fare ogni giorno le stesse cose, oggi chiusi dentro le nostre case a ripetere le stesse cose!
La noia diventa così il sentimento dominante: Capasa a questo riguardo ha citato Moravia che definisce “la noia … una specie di insufficienza o inadeguatezza o scarsità della realtà”.
Capasa ha fatto emergere da dove viene questa insufficienza della realtà: dall’aver distrutto la tradizione. C’è una domanda, c’è un bisogno ieri come oggi, non ci sono padri che sappiano riconoscerli e portarli.
Il relatore ha allora rintracciato la domanda di senso passando attraverso Leopardi, Rebora, Montale, Ungaretti, la domanda di che cosa rompa il meccanismo di una giornata come tante, di che cosa resista in noi mentre tutto sembra finire, di come si possano scrivere lettere piene d’amore mentre muore un amico a fianco, come ha fatto Ungaretti. O come abbia potuto Renzo continuare il suo percorso dopo tutto quello che gli era capitato.
Capasa, citando Renzo che incontra don Abbondio nel capitolo XXXIII dei Promessi Sposi, ha voluto sottolineare che “l’uomo ha bisogno degli altri. Ma non di altri qualsiasi: di altri che riaccendano il fuoco, altrimenti basta una pioggerellina a spegnerlo”.
È la realtà che educa l’uomo a riscoprire il fuoco che accende il suo cuore, è la realtà fatta di avvenimenti e di incontri, questo è ciò che la genialità letteraria insegna e a cui spinge, ad essere attenti alla realtà. I grandi letterati sono grandi uomini che hanno saputo attingere dalla realtà il fuoco che brucia dentro la vita e la rende appassionante, capace di superare la noia e l’insensatezza delle cose.
E che ciò che ha detto in modo affascinante Valerio Capasa sia vero, lo hanno documentato le numerose domande che la sua relazione ha suscitato, tutte domande che sono fiorite dal vedere scoperchiato il mondo in cui oggi si vive.
Ragazzi e ragazze hanno documentato come sia vero che oggi la loro vita rischi di diventare come la noia di Moravia o la trincea di Michelstaedtler, giornate tutte uguali – ha scritto un ragazzo – dove sembra che un voto positivo sia la gioia ma un attimo dopo diventa nulla, una didattica che riempie la testa di nozioni e non riesce più a liberare le energie critiche: la profondità degli esempi letterari citati ha portato gli studenti a parlare di sé, a dar voce al desiderio che sentono, ad esprimere quello di cui fanno esperienza.
Le domande dei ragazzi e delle ragazze hanno testimoniato che ciò che Capasa ha detto della crisi li ha raggiunti nel punto del cammino che stanno facendo oggi. Per questo la domanda è diventata diretta e urgente: ma la vita che senso ha? E come si può trovare questo senso? Una domanda commovente e vera, a cui Capasa ha indicato un metodo di risposta, un metodo che ognuno può far suo per percorrere la strada verso la felicità, quello di lasciarsi condurre dalla realtà.
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