In Italia ad ogni inizio di anno scolastico si assiste al solito raccapricciante scenario: lunghe liste di precari in attesa di una cattedra rimasta “scoperta”; scuole che faticano a trovare insegnanti (in particolare in determinate discipline e aree geografiche del paese); dirigenti scolastici abbandonati a se stessi nell’affannosa ricerca – dopo mesi dall’avvio dell’anno scolastico! – di personale docente per coprire buchi lasciati dall’ormai cronica e dissennata girandola burocratica-amministrativa; giovani laureati aspiranti docenti lasciati in balìa di percorsi di formazione iniziale e procedure di reclutamento incerte e farraginose sia nelle tempistiche sia nelle modalità di attuazione; infine, studenti e famiglie nella vana attesa di trovare un sistema di istruzione pubblico che, pur nelle imperfezioni, riesca a garantire a tutti e a ciascuno almeno quei servizi essenziali e quella continuità didattica imprescindibile per intraprendere un percorso che sia davvero formativo.



Una situazione che si ripete ormai negli anni e che non è purtroppo una saltuaria disfunzionalità del sistema, ma che rappresenta ormai il volto di una patologia accettata come normalità, di una precarietà istituzionalizzata e di una inefficienza ineliminabile del sistema stesso. Nemmeno le massicce immissioni in ruolo intervenute in questi ultimi anni sono riuscite, a discapito di numerosi proclami, né a sconfiggere il precariato dei docenti, né ad avviare un compiuto sistema di formazione iniziale degli insegnanti. Allo stesso tempo, appare evidente che una simile situazione, considerate le sue dimensioni ormai strutturali, non è attribuibile (solamente) alle scelte di questo o quel governo degli ultimi anni.



Ma come è stato possibile arrivare a una simile situazione? Qual è stato il percorso storico, nel nostro Paese, della formazione iniziale e del reclutamento degli insegnanti? Quanto pesa ancora questo percorso sulle scelte di oggi? Perché?

Sono queste alcune delle domande a cui prova a rispondere il saggio di Francesco Magni, Formazione iniziale e reclutamento degli insegnanti in Italia. Percorso storico e prospettive pedagogiche (Edizioni Studium, 2019).

Innanzitutto l’autore ripercorre le principali vicende storiche che hanno contrassegnato la (mancata) evoluzione del nostro sistema di formazione iniziale, dove le scelte appaiono compiute più sotto l’impulso di circostanze sempre eccezionali ed emergenze sempre inderogabili che di una qualche motivata e strategica progettualità.



La storia ha visto così crearsi e consolidarsi nel tempo uno schema che sostanzialmente si ripete dalla legge Casati (1859) fino ad oggi: a fronte di una modifica nelle regole dei percorsi di formazione iniziale e dei criteri di reclutamento, il più delle volte è infatti intervenuta una sanatoria (più o meno legittima), alla quale si è spesso accompagnata un’ulteriore eccezione, generando così un labirinto inestricabile entro il quale gli stessi artefici della burocrazia ministeriale si sono poi ritrovati intrappolati.

Ulteriore nefasta conseguenza di un tale modo di procedere è stato quello di creare, fin dagli albori del nostro sistema di istruzione, distinte categorie professionali (docenti titolari, reggenti, incaricati e legittimati), generando incautamente aspettative assunzionali nei confronti di una gran massa di persone, via via sempre più numerose, esplose poi a partire dagli anni 70, con una situazione sempre meno sostenibile. Tutto questo in un quadro di costante e perenne incertezza sulle procedure e le tempistiche. Infatti, a norma o regola spesso si è affiancata anche un’eccezione o deroga a cui però sovente farà seguito anche una prassi differente, sul modello di una sanatoria de facto extra legem, se non, talvolta, addirittura contra legem. Nel corso della storia della Repubblica lo schema regola-deroga-prassi si ripete più volte, con punte via via sempre crescenti di deroghe, ope legis ed eccezioni dalla metà degli anni 60 in avanti.

Il libro non si limita però ad una ricostruzione di carattere storico, pur imprescindibile per indagare le ragioni e i motivi dell’attuale situazione di stallo, ma prova ad indagare quali possano essere i paradigmi attorno a cui tornare a pensare un sistema di formazione iniziale e di reclutamento dei docenti per una scuola che raccolga la sfida dei nostri tempi. Quale il rapporto tra teoria e pratica? Quale quello tra scuole e università?

La tesi di fondo è quella della necessità di un radicale cambio di marcia: proseguire su strade che si sono già dimostrate dannose dal punto di vista della continuità educativa e didattica, inefficaci dal punto di vista organizzativo e amministrativo, inefficienti dal punto di vista economico e delle finanze pubbliche sarebbe illogico, oltre che estremamente pericoloso in presenza di dinamiche socio-demografiche che cambieranno nei prossimi decenni in profondità il nostro sistema di istruzione e formazione.

Superare i concorsi statali centralizzati e ripensare la formazione iniziale a partire dal paradigma pedagogico dell’apprendistato formativo sono alcune delle strade che vengono tracciate, nella costruzione di un sistema di istruzione che torni ad essere centrato sul binomio responsabilità-libertà e che consenta – con tempistiche chiare e modalità stabili – l’accesso all’insegnamento a docenti ancora giovani, per innescare quel ricambio generazionale sempre più urgente di un corpo docente tra i più anziani d’Europa.

Un percorso quindi, più breve, diversificato e flessibile, che consentirebbe di avere docenti giovani nelle classi e che riuscirebbe ad integrare e ad intrecciare le differenti dimensioni teoretiche, tecniche e pratiche che contraddistinguono questa delicata professione. Senza ripetizione di costosi corsi universitari, magari in gran parte già svolti, senza inutili intoppi burocratici, senza, soprattutto, nuove graduatorie di precari in attesa di un posto di lavoro garantito dallo Stato.

In assenza di questo radicale cambio di paradigma pedagogico – con evidenti conseguenze anche sul piano sociale, organizzativo e amministrativo – non solo ogni tentativo di miglioramento, pur apprezzabile negli intenti, sarà destinato a registrare un sostanziale nulla di fatto; ma segnerà il prolungarsi delle fatiche di Sisifo che, per quanto ci si affanni e ci si impegni, sono destinate a fallire.