“Speriamo che venga fuori più rispetto anche per gli insegnanti oltre che per medici e infermieri”.
Questo è quello che mi ha scritto una carissima amica due giorni fa, in piena attività di organizzazione casalinga della didattica al tempo del coronavirus, come incoraggiamento e sostegno a distanza.
Organizzazione che significa alzate ben più mattutine di quando non c’era l’emergenza e nottate prolungate con colleghi e colleghe per trovare soluzioni.
Bisogna scriverlo con chiarezza: c’è una grandissima emergenza e non è necessario, anzi è controproducente, stressare ulteriormente i docenti.
Ho molto apprezzato l’equilibrio complessivo dell’intervento di Giuseppe Santoli ma eviterei di scrivere, come ha fatto, “Trattasi di un’enorme e significativa novità che supera le previgenti norme e le disposizioni contrattuali del comparto, attribuendo ai dirigenti scolastici poteri straordinari”, perché è un’affermazione, sul piano strettamente giuridico, quanto meno azzardata e potenzialmente pericolosa.
La dimostrazione che la tesi di Santoli è quanto meno azzardata, la fornisce lo stesso Miur, quando in una nota recentissima sul personale Ata a firma Marco Bruschi non ha potuto fare a meno di citare la norma del Codice civile che prevede di essere liberati da obblighi quando la prestazione è impossibile.
Ma se non bastasse, Michele Ainis, che è certamente voce decisamente più autorevole della modestissima mia, qualche giorno fa, su Repubblica, ha chiarito i rischi dei regimi eccezionali anche se collegati alla situazione gravissima che stiamo vivendo.
Non è mia intenzione affliggere solo con considerazioni di natura strettamente giuridica che pure è il campo della mia docenza.
Mi limito ad osservare che è senso comune, già apprezzato da studenti e famiglie, lo sforzo – non ho difficoltà a definirlo titanico – che i docenti stanno mettendo in campo.
Il mio microcosmo è la mia scuola, le scuole della mia città, le scuole della mia Regione. Realtà con cui sono in contatto non solo attraverso le chat della Flc, il mio sindacato, che sono bollenti come non mai.
Troppo poco? Se facessi il sociologo sì, ma faccio l’insegnante e i segnali che mi arrivano sono univoci. Stiamo facendo cose impensabili, stiamo dedicando, ad essere ottimisti, il doppio o il triplo del tempo con sacrifici di ogni tipo, economici e non, familiari e non solo.
Perché, siccome sei a casa, magari salta il pranzo all’ora solita, visto che stai sperimentando con i ragazzi o con i colleghi come superare le difficoltà e te ne freghi pure del figlio che reclama, da recluso, almeno il vitto.
Con tanta buona volontà e voglia di fare, ma anche qualche timore infondato che cretinate come la fake della circolare a firma Azzolina che minacciava il licenziamento degli insegnanti non tecnologici hanno pure alimentato.
Non ho pensato, scrivendo queste note, di fare il panegirico degli insegnanti, quello magari arriverà dopo, secondo l’auspicio della mia amica. Ma certamente è necessario fare il punto soprattutto perché non passi l’idea, assurda e sbagliata, che si possa procedere con gli ukase o le minacce che pure, e perfino Santoli che è un dirigente scolastico ne scrive, qualcuno sta assurdamente pensando di utilizzare contro gli insegnanti.
Di qui la necessità di puntualizzare almeno le linee giuridiche di contorno.
Partendo, ad esempio, da quello che sembra già dimenticato: l’art. 33 della Costituzione, quello che stabilisce la libertà di insegnamento e, ancor prima, l’art. 32, quello del diritto alla salute.
In tempi normali ed anche in tempi eccezionali come questi, se Santoli consente.
Già c’è stata qualche leggerezza di troppo: penso alle convocazioni in presenza, già a epidemia in corso, di gruppi di docenti o di interi collegi dei docenti dopo la sospensione delle attività didattiche in tutta Italia.
Attivismo fuori misura e pure pericoloso. Perché il metro di distanza a scuola poteva bastare ma a scuola bisognava andarci, ed il coronavirus non è che accende le lucine per farti sapere dove lo becchi.
Ci è voluta la pressione sindacale perché arrivassero puntualizzazioni di uffici scolastici regionali che sconsigliavano convocazioni in presenza quando sarebbe bastato leggere la direttiva Dadone (ministro per la Pubblica amministrazione) e pure il primo Dpcm per capire che le convocazioni in presenza erano, a voler essere buoni, leggerezze da burocrati.
Per non parlare, e sarebbe comico se non fosse tragico, di convocazioni in presenza di team digitali evidentemente non tanto digitali ed attrezzati da saper gestire una riunione a distanza attraverso Skype.
Ancora si legge, anche su autorevoli siti scolastici e lo conferma Santoli, di Ds che pensano di imporre la firma sui registri elettronici.
I quali registri, ad oggi, non sono nemmeno obbligatori, nonostante la vulgata contraria, perché privi di requisiti a tutela della privacy e del relativo intervento da parte dell’Autorità garante.
La firma è un nonsenso, dal momento che le attività didattiche sono sospese e la didattica a distanza è una pura invenzione, sotto il profilo strettamente giuridico, non normata.
Mentre normata è, nonostante qualcuno a livello ministeriale abbia scritto incongruamente di tradizione, l’attività di valutazione che, a distanza, sarebbe non solo un’assoluta novità anche qui non normata e quindi suscettibile di qualsiasi azione a tutela.
Ma mantengo la promessa di non essere troppo tecnico.
Qual è l’impostazione giusta?
Non appellarsi ad improponibili nuovi obblighi giuridici o peggio a poteri eccezionali (ché se non mi funziona Internet o mi finisce il credito mi sanzionano per quello? E se non so o voglio usare Skype mi licenziano?) ma a quello che è sicuramente presente negli insegnanti. Etica e deontologia professionale scriverebbe qualcuno, essere insegnanti scrivo io.
Perché quello che facciamo e faremo sicuramente sarà improntato a passione, spirito di abnegazione e, in ultima istanza, voglia di stare vicino ai nostri ragazzi. E magari finiremo pure noi fotografati come l’infermiera mentre dormiamo sulla tastiera dei pc, sfiniti ma pronti ancora a ricevere mail come quella in cui si scrive “Grazie prof. per non averci abbandonati”.
Senza bisogna degli ukase.