Il ministro Lorenzo Fioramonti parlando alla stampa estera il 13 novembre ha dichiarato: “Quella relativa alle lezioni sulla sostenibilità ambientale è una grande occasione. Per l’educazione civica si tratta di 33 ore l’anno obbligatorie con tanto di voto finale e riguarderanno le primarie, le medie e le superiori. A gennaio e febbraio partiranno i corsi di formazione dei docenti perché le lezioni inizieranno già da settembre 2020”.



Sono affermazioni che lasciano qualche perplessità, che speriamo venga sciolta dal modo con cui procederanno gli esperti del ministero. Le perplessità riguardano sia il fatto che ci si trovi davanti a un pacchetto precostituito, sia che venga data più importanza alle procedure che al contenuto di questo insegnamento che vuole essere introdotto, e che ha come scopo quello di educare alla cittadinanza.



In questo senso mi permetto di fare alcune osservazioni.

La prima è che quasi tutte le scuole stanno lavorando in questo anno di passaggio sia per sperimentare sia per predisporre le attività del prossimo anno. Allora suggerirei al ministro, al posto di corsi in cui gli esperti del ministero formano i docenti, di attivare corsi in cui gli esperti del ministero ascoltino quello che stanno facendo gli insegnanti, così da impostare l’educazione civica a partire proprio dalle loro osservazioni. Sarebbe un modo di procedere finalmente consono alla realtà scolastica: invece di imporre programmi pensati a tavolino, si costruiscano con chi opera a contatto diretto con studenti e studentesse.



La seconda osservazione è quella di riflettere bene e in modo consono al tempo che stiamo vivendo sul concetto di cittadinanza e sulle conseguenti “competenze” che sono al centro di un’impostazione globale dell’educazione. Ciò che oggi deve essere messo al centro è un’esigenza quanto mai emergente nel mondo giovanile, quella di essere protagonisti dentro la società del duemila e le sue problematiche, talvolta drammatiche. Essere cittadini oggi non è adeguarsi a un modello, ma essere protagonisti, dare la propria impronta al mondo d’oggi. Ciò cui deve tendere l’educazione civica, e per questo è materia trasversale, è che i giovani si muovano e si carichino dei loro bisogni e di quelli dei loro coetanei e tentino di darvi una risposta. È questo il vero cittadino: non quello che pretende risposte dallo Stato o dalle istituzioni, ma quello che contribuisce alla vita comune con i suoi tentativi, con la sua iniziativa, mettendo in campo le sue doti.

La terza osservazione riguarda il modo con cui verrà definita questa “nuova” eppure antica disciplina, l’educazione civica. C’è da augurarsi che non venga stilato un programma, ma venga suggerito un metodo, così che ogni scuola costruisca autonomamente il suo percorso. Non si dovrebbe fare un programma precostituito, e nemmeno partire da un programma; bisognerebbe invece partire da esperienze e poi riflettere insieme a studenti e studentesse su ciò di cui si è fatto esperienza per prendere coscienza dei princìpi di una cittadinanza attiva.

Ad esempio, al ministro sta a cuore la problematica della sostenibilità ambientale: per affrontarla si dovrebbe fare un lavoro di ricerca sulla città in cui si abita per verificare il tipo di rispetto dell’ambiente che vi è o le pratiche nuove di utilizzo delle risorse e per identificare le problematiche aperte. Fatto questo lavoro di ricerca, bisognerà poi puntualizzare i princìpi della sostenibilità ambientale e proporre delle ipotesi di soluzione ai problemi.

Oppure, se si vuole affrontare per esempio il tema delle barriere architettoniche, si dovrebbe prima girare la città assieme a qualche ragazzo disabile e vedere dove sono le barriere architettoniche per poi riflettere insieme sulla problematica e proporre delle soluzioni. Oppure, ancora, se si vuole affrontare la questione del rapporto con la povertà, gli studenti prima dovrebbero toccare con mano, facendo esperienza in associazioni di volontariato che distribuiscono cibo o indumenti ai poveri per poi fare una riflessione sulla questione della povertà e sul come affrontarla.

In sintesi, si dovrebbe partire dalle esperienze e non dai princìpi, e lavorando insieme sulle esperienze trarre i princìpi di una nuova cittadinanza, una cittadinanza vissuta da protagonisti.