Nell’ottavo capitolo della Compagnia dell’anello, di Tolkien c’è un episodio che rappresenta il viatico migliore per cominciare la scuola
Nell’ottavo capitolo della Compagnia dell’anello, primo capitolo della celebre trilogia del Signore degli anelli, Frodo Baggins e i suoi amici sono ospitati nella foresta di Lothlórien dalla bellissima dama elfica Galadriel. La compagnia ha perso la sua guida, il saggio Gandalf, scomparso in un una voragine nelle miniere di Moria, nella disperata lotta contro una terribile creatura, un Balrog.
Prima di riprendere il loro viaggio verso Mordor per portare a termine quel compito che Frodo ha liberamente accettato come suo destino, distruggere l’anello, la compagnia riceve dagli elfi dei doni. Per ognuno un oggetto diverso, scelto a misura della loro persona, e per tutti, tra le altre cose, dei mantelli speciali, tessuti dalle stesse mani della dama Galadriel. Mantelli elfici, leggeri, resistenti, e dal colore cangiante. Stupiti per la loro mirabile fattura, i compagni chiedono spiegazioni agli elfi, scoprendo che quei mantelli sono di tutti i colori della foresta in cui si trovano: “Foglia e ramo, acqua e pietra; hanno il colore e lo splendore di tutto ciò che ci circonda, immerso nel crepuscolo della nostra Lórien adorata. In ogni cosa che facciamo, noi infondiamo le immagini di tutto quel che amiamo” (cap. VIII, addio a Lórien).
“In ogni cosa che facciamo, noi infondiamo le immagini di tutto ciò che amiamo”: è questa la frase con cui saluterò i miei alunni, il primo giorno di scuola. Offrire alla memoria delle parole che, nella loro brevità, possano contenere una sorta di chiave per spalancare e affrontare l’immenso ignoto della scuola, è uno dei tanti conforti che la letteratura sa dare all’uomo di ogni tempo. Anche perché i significati che la letteratura ci offre si arricchiscono con l’esperienza di chi la fa sua.
Così, pensando all’anno che sta per iniziare, questa frase ha per me almeno due grandi ammonimenti (uso la parola ammonimento secondo quelle radici che la legano alla memoria, che istituisce un nesso tra il passato e il futuro, e a monumento, un’opera che ricorda ed esorta allo stesso tempo): il primo è che la molla di ogni sapere è l’amore. In tutto ciò che faremo (lezioni, compiti, verifiche, interrogazioni) emergerà inevitabilmente il sentimento profondo che abbiamo nei confronti della vita; rendersene conto è una grande possibilità per crescere nella coscienza di ciò che amiamo, di ciò che desideriamo, e soprattutto di quello che già abbiamo (D.F. Wallace ci domanda: “di cosa parliamo, quando parliamo d’amore?”). Nessuna pedagogia, per quanto utile e raffinata sia, potrà mai suscitare l’interesse per la conoscenza quanto lo scoprire che nelle cose che abbiamo tra le mani c’è dentro “l’immagine di ciò che ama” chi quella cosa l’ha fatta. Scoprirlo, come diceva McCarthy in Non è un paese per vecchi, fa venir fuori una “promessa dentro il cuore”.
Il secondo ammonimento è che dentro l’esperienza dell’amore c’è sempre anche quella del dolore. Penso a tutte le situazioni, scolastiche e non, in cui il cammino della conoscenza è stato anche cammino nel dolore (fallimenti, delusioni, perdite). E il dolore spesso, a scuola come nella vita, è nascosto, compresso, a volte eluso o peggio, ridotto a “disturbo”. Invece il dolore non solo è parte (inevitabile) dell’esperienza, ma è anche un grande segno: segno (e pegno) della natura “di bisogno” che ognuno di noi è, segno (e pegno) dell’imprevedibilità del cammino che attende ognuno, segno (e pegno) della misura sconfinata dell’amore che proviamo per le cose che amiamo.
La Compagnia dell’anello riprende la sua marcia, incerta sul cammino che la attende e dolente per la mancanza di Gandalf, ma rinfrancata da quella sosta che li ha rivestiti di splendidi mantelli elfici.
Buon anno a tutti.