Tra i numerosi impegni che segnano il tempo dei dirigenti scolastici delle scuole statali alla fine dell’anno scolastico sono da annoverare anche le sedute che chiudono il percorso di formazione e prova dei docenti neoassunti.

Il percorso contempla diverse attività, che chiedono un’azione di coordinamento del dirigente e che si conclude formalmente con il decreto di conferma in ruolo del docente.



Capita a volte di essere sorpresi dalla narrazione di percorsi ed esperienze che aiutano a riflettere su alcune priorità ed attenzioni che le nostre scuole non dovrebbero tralasciare.

Così è accaduto qualche giorno fa quando una docente di sostegno della scuola primaria ha esordito dicendo che il suo lavoro con un bambino con grave disabilità voleva essere innanzitutto un aiuto, anche alla famiglia, a non vivere in un eterno presente.



Alla richiesta di chiarire meglio questa affermazione ha spiegato che l’adulto davanti alla vita di un bambino con grave compromissione, probabilmente anche perché affaticato dalla gestione quotidiana, rischia di non vedere più alcun potenziale, si trova dunque a pensare che nulla più possa cambiare.

Qualsiasi iniziativa, qualunque proposta non riuscirà a far crescere, non potrà mai aprire prospettive di cambiamento, di novità.

L’eterno presente è il tempo in cui tutto è già accaduto, è il tempo della necessità e della staticità.

Si tratta di una rassegnazione che non lascia spazio alla possibilità di cambiamento che l’azione di cura invece può generare, come è stato documentato nella prosecuzione del colloquio con la docente.



Spesso il vissuto delle nostre scuole rischia di essere imprigionato da questa eternità del presente e non solo nella relazione con gli alunni più in difficoltà.

Accade quando nella relazione educativa prevale un’idea preconcetta dello studente, nella quale si resta ingabbiati e quando la ragione è vissuta non come apertura alla realtà e quindi anche all’imprevedibile e all’imprevisto, che può rompere il meccanismo della replicazione.

Solo una ragione aperta al possibile infatti, contraria a ogni determinismo, riesce a essere creativa, flessibile, capace di accordare i diversi stili cognitivi degli studenti con le proposte didattiche.

L’eterno presente è fatto al contrario di una didattica che non riconosce il valore della personalizzazione e che tende a replicare nel tempo gli stessi contenuti e le stesse metodologie, che si preoccupa, per citare un’affermazione molto nota, “di una testa ben piena e non di una testa ben fatta”.

Continuando il racconto dell’esperienza con gli allievi la docente ha precisato che ha sempre offerto ai bambini diverse possibilità per procedere nel lavoro, non ci sono mai state direzioni obbligate.

Il percorso non era dunque predefinito dall’inizio, ma progettato in modo flessibile, per poter progressivamente accogliere le diverse opzioni proposte dai bambini.

Non si tratta di un discorso astratto, ma di scelte molto concrete, quali la decisione della modalità comunicativa: il disegno o il testo scritto, la narrazione orale a voce alta o la registrazione di un video e altro ancora.

In questo modo il prodotto finale viene percepito dalla classe come l’espressione di un lavoro condiviso, che ciascuno sente come proprio. I bambini diventano protagonisti attivi del loro apprendimento.

La docente ha sottolineato che si tratta di sollecitare in continuazione la libertà degli studenti, di riconoscere la loro originalità, il loro apporto alla realizzazione comune.

Non c’è nulla di più importante nel lavoro educativo che questo appello continuo alla libertà, perché l’apprendimento è sempre un atto voluto, non un’operazione che possa essere diretta e imposta da terzi. L’apprendimento rimane nel tempo e contribuisce alla crescita di una personalità matura solo se è generato dalla decisione consapevole dell’alunno, anche di quelli più piccoli.

La sapienza educativa e l’esperienza professionale insegnano che quando un bambino è coinvolto nel lavoro, quando gli si chiede una riflessione, quando lo si sollecita a scegliere tra possibili percorsi cresce, facendo un’esperienza significativa di sé e della realtà, queste sono le caratteristiche dell’apprendimento.

L’educazione è infatti il sapiente lavoro di due libertà che si incontrano e che scelgono consapevolmente di affidarsi l’una all’altra.

Tornano alla mente le parole di Marguerite Léna in Lo Spirito dell’educazione. “L’agire educativo ci è apparso come l’impegno di una libertà al servizio di un’altra libertà. Quella del bambino o del giovane è incoativa e fragile, quella dell’educatore adulto può essere più o meno ferita e appesantita dalla vita. Tuttavia in questa relazione prosaica e sempre un po’ difettosa, è contenuta la domanda più importante che un uomo possa porre ad un altro uomo – quella del senso da dare alla propria crescita: chi sono, chi devo essere? – e la risposta più nobile che un uomo possa dare a un altro uomo, quella della sua umanità condivisa.

L’agire educativo smentisce così vigorosamente la vecchia tesi liberale per cui la libertà cessa dove comincia quella degli altri […]. In educazione è vero esattamente l’opposto. La responsabilità dell’educatore comincia dove comincia un’altra libertà; […] e deve accettare, per quanto si senta impari al suo compito, di qualificare per tutta una vita una libertà diversa dalla sua.”

La docente conclude la sua relazione facendo cenno a uno dei laboratori di formazione dedicato alle soft skills e riferisce che quanto ha appreso in quell’incontro le è stato d’aiuto, per progettare la sua attività didattica e per osservare aspetti del comportamento dei bambini che prima non aveva notato.

L’apporto delle character skills, come si è documentato in altri interventi su queste pagine, quando sono liberate dall’implicito e divengono oggetto di osservazione da parte dei docenti e di autovalutazione degli studenti, seppur con modalità diverse in riferimento all’età, divengono essenziali per promuovere uno sguardo integrale al cammino di crescita della persona.

Cammino che vede nell’esercizio della libertà, sollecitata dalle diverse possibilità che il tempo e la realtà offrono,  il cuore dell’educazione.

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