Un paio di settimane fa, mentre camminavo per andare al lavoro a scuola, mi sono soffermato a guardare un cartello sulla vetrina di un bar. C’era scritto che si ringraziavano i clienti per l’acquisto di un caffè o di un cappuccino da asporto. Si capiva che il gestore se la passava male e la scritta era toccante: pareva quasi un invito alla carità.



Ho provato un senso di disagio, a fronte di questi drammi di povertà incombente o già in atto (circa 4.600.000 persone, secondo il Censis) e vivo con qualche imbarazzo la mia condizione di dipendente pubblico.

 Il ministro Provenzano, in un’intervista di qualche tempo fa, ha dichiarato di non condividere il giudizio di coloro che riscontrano una separatezza tra lavoratori pubblici e privati. Si può non condividere un tale giudizio, ma la cornice delle condizioni lavorative nel privato è molto diversa da quella del pubblico impiego. Mentre per i primi, in questo momento, l’opportunità di lavorare ha a che fare con questioni di sussistenza e per questo premono per ottenerla, per i secondi (certamente non per tutti) il lavoro può comportare un’inutile esposizione al rischio di contagio. Si tratta di contesti molto differenti, che, aldilà delle attitudini personali, favoriscono propensioni soggettive diverse e contrastanti.



Consideriamo, ad esempio, ciò che accade nella scuola.

I sindacati non hanno mai ottenuto gli aumenti stipendiali attesi, anche perché non hanno mai voluto creare una carriera docente, premiando coloro che ne avessero percorso le tappe.

Essi, pertanto, hanno agito sull’altro versante, quello dei carichi di lavoro. Così, mentre la professione d’insegnante si arricchiva (e si appesantiva) di innumerevoli mansioni (una parte delle quali di natura burocratica), si è deciso, da parte sindacale, di erigere le barricate su questo fronte. Il terreno scelto, però, era ed è scivoloso, particolarmente oggi, a fronte di quei lavoratori che vorrebbero poter lavorare.

Per questo i sindacati hanno difeso, nella scorsa primavera di lockdown, il “diritto” dei docenti a non tenere lezioni on line (e solo recentemente hanno ceduto). Per questo si sono opposti a qualsiasi riunione non prevista nel piano delle attività d’inizio anno. Per questo, a Napoli, oggi si oppongono alle lezioni a distanza per gli alunni delle scuole allagate a causa del maltempo (hanno ceduto alla pandemia, ma non al maltempo…).

In questi tempi di lavoro smart, non tutti i lavoratori delle scuole possono attivarsi da casa. Per esempio non possono farlo i collaboratori scolastici (gli ex bidelli) perché alcune attività, come quella delle pulizie, non possono essere svolte “da remoto”. Ma questi lavoratori, nelle scuole superiori la cui didattica è al 100% a distanza, attualmente non hanno molto da fare. Potrebbero, quindi, essere temporaneamente spostati negli istituti comprensivi limitrofi, dove la didattica in presenza coinvolge quasi tutte le classi e così rendersi utili.

Ma chi ha il coraggio di sfidare i sindacati? Lo fa l’Ufficio scolastico regionale per la Toscana (si fa per dire…) con Nota n.14737 del 13 novembre 2020, affermando che quei collaboratori possono essere spostati temporaneamente, ma solo dopo che essi abbiano dato la loro disponibilità. Quanti hanno dato la disponibilità?

Alcuni docenti acquisiscono lo status di “lavoratori fragili”, previa visita medica. Talvolta, quando non possono recarsi a scuola, il medico prevede per loro che sia possibile lavorare a distanza, ma anche in questo caso ciò può avvenire solo con il consenso degli interessati. Perché chiederlo, se il medico attesta che si può fare?

Visti i ritardi della scuola, la ministra Azzolina propone di protrarre le lezioni anche nei mesi estivi, ovviamente senza eludere il riposo estivo dei 36 giorni di ferie. La ministra avrà molto da discutere perché i docenti, nei mesi estivi, anche qualora abbiano fruito delle ferie, praticamente non possono essere convocati per altre attività.

E le estati (particolarmente per le maestre, che non fanno parte di commissioni d’esame a giugno) si allungano ben oltre le ferie.

La difesa del lavoro, così, viene a coincidere con la difesa dal lavoro. Purtroppo i sindacati dei docenti, abbastanza numerosi, non competono fra loro per differenza, bensì per somiglianza. In altri termini, nessun sindacato suggerisce di applicare regole nuove: tutti convergono verso gli stessi obiettivi, variando solamente l’intensità delle retoriche.

Per questo mi sono sentito in imbarazzo, leggendo il cartello del bar che invitava alla carità.

Il ministro Provenzano ritiene sbagliata l’idea di una separatezza tra i lavoratori pubblici e quelli privati. Certamente è sbagliata. Purtroppo, però, se non cambiano le regole, essa è iscritta nella realtà dei fatti.