Gli studenti sono tornati a scuola. Pur con percentuali variabili di presenza, anche le scuole superiori si sono riaperte. Ma le proteste sono proseguite. Tutti si lamentano. Perché le quote di apertura in presenza non sono sufficienti, perché bisognava aprire prima, perché tra Dad e presenza la confusione degli studenti cresce, perché bisognava aspettare ancora, perché le condizioni di sicurezza non sono adeguate, perché i trasporti sono insufficienti. E, come se non bastasse, ci si sta affannando ad evidenziare i dati del disastro: gli abbandoni scolastici, l’amarezza per un anno da tanti considerato perso, le migliaia di ragazzi tagliati fuori dalla Dad per mancanza di strumentazione tecnologica, la depressione e i danni psicologici già presenti.
Una lettera di un gruppo di insegnanti apparsa recentemente sul Corriere della Sera evidenziava che se “far lezione in presenza può fare la differenza, non sarà certo questa la soluzione dei problemi su cui la chiusura delle scuole ha aperto uno squarcio”. Ecco la vera questione: cosa c’è sotto quello squarcio? C’è la crisi di una generazione che grida la sua domanda di senso. Una domanda che cerca qualcuno che la incontri, la ami e si faccia ad essa compagnia. Le circostanze nelle quali viviamo gettano su questa domanda un carico di incertezza che appesantisce il passo di chi per natura sarebbe fatto per correre verso il suo destino con energia e baldanza. L’incertezza di come sarà la scuola il giorno dopo, di come e quando si potrà incontrare un amico, di quanto lo studio perso influirà sui percorsi futuri, di quali saranno le prospettive lavorative.
Ma c’è una ferita, forse la più grave, che l’incertezza può produrre; la chiamerei il massacro del desiderio. Se niente è sicuro, se non sappiamo quali obiettivi potremo raggiungere, se anche le piccole mete quotidiane si perdono nella nebbia dell’incertezza, tanto vale abbassare l’asticella ed accontentarsi! È sempre stato così! È umano che lo sia! “Quella sete natural”, quella “concreata e perpetua sete”, che già nella Commedia avevano fatto correre anche Dante verso la meta, quel desiderio inestirpabile, rischia di venire massacrato, annientato no, ma reso impotente a muovere la vita. Ma perché evocare Dante? Perché nessuno come lui ha subito la tentazione della paura, ha brancolato nel buio, ha visto sconfitti gli ideali sui quali aveva investito la vita. Eppure il suo desiderio, quella sete naturale, è sempre riemersa. Anzi proprio a questo desiderio, alla consapevolezza esplicita di esso, Dante viene ripetutamente sollecitato dai suoi maestri. “Manda fuor la vampa del tuo disio” gli dirà il trisavolo Cacciaguida che già lo aveva ammonito con queste parole: “La voce tua sicura, balda e lieta suoni la volontà, suoni il disio”, parla, esprimiti, sii consapevole di ciò che desideri .
C’è un momento nel percorso di Dante in cui il desiderio è veramente messo alla prova, in cui anche lui potrebbe abbassare l’asticella davanti alla paura e al rischio. È quando, ormai alla fine della salita al Purgatorio, a poca distanza dalla visione e dall’incontro con la agognata Beatrice, egli deve attraversare un muro di fuoco. È terrorizzato, gli vengono in mente le scene raccapriccianti dei condannati al rogo, resta immobile paralizzato dalla paura. E qui, lui, il poeta più umano del mondo, passa in rassegna le pur ragionevoli argomentazioni con cui Virgilio cerca di incoraggiarlo, ricordandogli che in passato lo aveva sempre salvato da ogni pericolo, e che anche ora può essere certo che il fuoco gli procurerà dolore ma non morte. Ma nulla riesce a smuovere Dante e a vincere la sua paura.
Virgilio a questo punto ha il vero colpo di genio del maestro, “tra Beatrice e te è questo muro”, gli fa balenare davanti la visione possibile e prossima dell’amata. Davanti a quel nome ogni paura scompare, il cuore si intenerisce. Il desiderio e l’energia per assecondarlo sono stati risuscitati! “Solo una presenza può vincere la paura. Lo vediamo in un bambino piccolo. Entra in una stanza buia ed è spaventato, ma se gli dai la mano la può attraversare senza paura. Non c’è teoria che possa sostituire questo tipo di esperienza”. Così Julián Carrón in Educazione, comunicazione di sé. Mai come oggi è evidente che la domanda di senso dei giovani si fa largo nella “selva oscura” della paura e dell’incertezza. E come Virgilio ha rischiato evocando la presenza di Beatrice, così anche oggi, per educare, occorre rischiare e, come ancora dice Carrón, “per rischiare nel rapporto con chiunque, è necessario scommettere sul cuore di ciascuno più che disperare dei suoi limiti”. Se si ha il coraggio sincero di questa scommessa si troverà anche l’intelligenza e l’energia per scoprire di giorno in giorno le soluzioni più adeguate per andare incontro al cuore dei nostri ragazzi.
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