La scuola italiana è messa così: tra il 2022 e il 2025-2026 dovranno essere attuate (secondo le previsioni del Miur) le sei riforme e le undici linee di investimento previste dal Pnrr per il settore istruzione, per complessivi 17,59 miliardi di euro. Perché questa tempistica?
Lo prescrive l’Europa che ha destinato i fondi (vedi Regolamento Ue n. 241/2021). Si procede a cascata a partire dall’alto: l’Europa sborsa i denari (a certe condizioni, come sappiamo), i tecnici del Miur elaborano i piani, gli enti locali li attuano. In questa fase (fine del 2021) si è entrati in una logica più stringente, che impegna la macchina ministeriale a passare dalla presentazione dei progetti alla loro effettiva realizzazione.
In questo senso, il 2 dicembre scorso è stato emanato il decreto 343 che ripartisce i primi 5 miliardi tra le regioni per le seguenti missioni: 1) costruzione di nuove scuole mediante sostituzione di edifici: 800 milioni; 2) incremento asili nido e scuole d’infanzia: 3 miliardi; 3) estensione del tempo pieno: 400 milioni; 4) infrastrutture per lo sport: 300 milioni; 5) messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole: 500 milioni. Questa prima tranche del Pnrr è in pratica di competenza degli enti locali che tra il 2022 e il 2023 dovranno mettere in atto le procedure per l’aggiudicazione e l’avvio dei lavori.
Investimenti e riforme procedono secondo frazioni temporali distribuite negli anni. Solo in due casi è previsto dal piano ministeriale che le riforme siano “adottate” entro il 2022: la riforma dell’orientamento e la riorganizzazione del sistema scolastico (numero degli studenti per classe e dimensionamento della rete scolastica).
Mai la scuola italiana nella sua gloriosa e lunga storia ha avuto a disposizione tanti soldi. Nello stesso tempo, mai la scuola italiana nella sua sostanza, fatta di soggettività docente e discente, è stata così deprivata della possibilità di elaborare il proprio futuro. Da una parte i soldi, e dall’altra il soggetto che sarebbe deputato a utilizzarli, ma che resterà povero culturalmente, perché alla fine della fiera non avrà collaborato a stabilirne l’utilizzo.
Con questo non si vuole accusare nessuno di malgoverno o incompetenza. Si vuole soltanto sollevare una questione di metodo. Nel recente passato le riforme della scuola (talvolta in assenza di fondi o addirittura concepite per ridurli) derivavano da una qualche forma di progettualità politico-culturale. Chessò, c’era chi voleva fare un doppio canale liceale e professionale perché convinto che dopo la terza media molti studenti desiderassero studiare e anche imparare a lavorare. Oppure c’era chi (ministro dell’Istruzione) privilegiava la licealizzazione della istruzione tecnica, convinto che il modello di scuola fosse quello che combinava sapere umanistico e sapere scientifico. Insomma, le parole “riforma” e “riordinamento” hanno sempre sollevato interventi, dibattiti, prese di posizione, maturazione di coscienze.
Ora con i soldi messi a disposizione dall’Europa si stanno predisponendo condizioni strutturali e ambientali dalle quali dovranno derivare, ma solo dopo, i saperi e le conoscenze. Lo suggerisce in un passaggio anche il decreto citato (343 del 2/12) che auspica la “realizzazione di scuole inclusive… in grado di garantire una didattica basata su metodologie innovative”.
Se il nostro Paese sta cambiando, se il nostro Paese cambierà lo deciderà il livello di maturazione di una soggettività costituita da responsabilità personale, libertà di scelta, adesione al senso della comunità. Nello stesso modo, se la scuola cresce nel nostro Paese, se crescerà, lo deciderà il livello di maturazione dei desideri personali che devono essere aiutati a svolgersi, a rappresentarsi criticamente nei ragazzi attraverso l’incontro con degli educatori e dentro un lavoro di approfondimento culturale e disciplinare.
Il mondo della scuola in tutte le sue componenti di base non può essere lasciato da parte mentre si progetta il suo futuro. Se “Futura” è la cifra del programma ministeriale funzionale al Pnrr, tale cifra dovrebbe essere cambiata in “Matura”, intesa come opportunità di crescita collettiva e non solo individuale. Dentro il contesto del grande dramma che tutti con grande dignità stiamo affrontando.
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