Caro direttore,
come docente penso di avere un ruolo pubblico e, in questa consapevolezza, partecipo al dibattito pubblico con interventi, finora, perlopiù inerenti la didattica disciplinare (italiano e latino), la formazione dei docenti e così via; ma la vicenda della docente “impallinata” mi costringe ad andare fuori dal seminato, per interrogarmi sull’emergenza educativa. Tutto è diventato un gioco, tutto è mass-mediatico, da sacrificare sull’altare della “ragnatela” che ci imprigiona cervello e anima: insomma la gamification e il reality-fai-da-te stanno pericolosamente alfabetizzando le coscienze delle nuove generazioni.



La scuola, che è espressione dello Stato, è una istituzione-presidio in affanno, in cerca della propria missione nella società liquida di oggi. È ormai un dato di fatto, al di là della propaganda: la scuola è una agenzia educativa de facto, ma deve diventare tale, attraverso un serio ripensamento, de iure, anche perché, per quando riguarda i contenuti, non trasmette più conoscenze e nozioni come un tempo, dovendo sviluppare le famigerate competenze. Come si fa a dare 9 in condotta a quattordicenni responsabili di un fatto così irriguardoso nei confronti di chi sta svolgendo il proprio lavoro? “Sono stata io la punita, fin da subito – ha dichiarato la professoressa Maria Cristina Finatti –, perché oltre a togliermi quella classe non so se me ne volevano togliere anche altre, probabilmente pensavano non fossi più idonea all’insegnamento. Non capisco la scelta della dirigenza, in quella scuola fanno una distinzione tra insegnanti di Serie A e Serie B”.



Ma che messaggio poteva dare all’opinione pubblica il consiglio di classe, attribuendo un 9 in condotta a due simili studenti? Tanto la vicenda era stata famosa, grazie al “coraggio” della collega di denunciare l’accaduto, confidando nella giustizia dello Stato, suo datore di lavoro. Non c’è più senso del limite: se da una parte diventa lucrativo fare bravate rischiose come quella del ventenne romano che ha postato su “TheBorderline” la sua challenge con epilogo tragico, perché non riprendere una sorta di tradizione di fare scherzi a scuola e immortalarli con lo smartphone per condividerli col mondo intero?



Aver dato un 9 in condotta a due studenti colpevoli di aver giocato al tiro al bersaglio nel momento sbagliato e con la persona sbagliata è stato un autogol che la scuola si è fatta da sola, facendo un cattivo uso dell’autonomia scolastica, come pure la tanto invocata libertà di insegnamento con cui la docente assenteista tentava di difendersi nei tribunali della Repubblica. Ma che fine farà la scuola nel nostro Paese? perché purtroppo è pur vero che fa più rumore un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce.

Non conosco i dettagli della vicenda specifica né ho letto le evidenze dell’ispezione ministeriale. Certamente il ministro Valditara, interessandosi in prima persona, ha mostrato coerenza (una virtù sempre più rara) tra l’idea di scuola seria di cui parla e l’azione concretamente intrapresa. Più fattivo in questo ultimo caso, dunque, e meno dedito alla redazione di circolari e lettere aperte, che tante polemiche hanno suscitato all’inizio del suo mandato. È entrato, per così dire, nel “merito” della questione. Condivisibile senza dubbio alcuno poi l’esortazione del collega Tallarico: “Perdono è essere consapevoli che come genitori, insegnanti ed educatori siamo stati mancanti nei confronti di questi giovani, non essendo riusciti ad aprire un rapporto di dialogo e confronto che permettesse loro di poter capire cosa è giusto e sbagliato e che cosa ha veramente valore nella vita”.

Accanto all’evangelico perdono, occorre dunque trovare nuove soluzioni pedagogico-educative da realizzare a scuola con personale qualificato, in concomitanza con una normativa più vicina ai tempi, come la proposta di legge dell’on. Sasso sull’inasprimento delle pene contro chi usa violenza contro il personale scolastico. Recentemente è stata proposta l’introduzione della cosiddetta giustizia riparativa a scuola, peraltro già incardinata nella normativa statale dalla riforma Cartabia.

Nello specifico, ne ha parlato la preside Maria Maddalena Di Maglie in un documentato articolo della rivista settoriale La Dirigenza Scolastica. In sostanza, l’approccio riparativo ha l’obiettivo di riparare il danno, consolidando e non sostituendo le sanzioni previste dal codice penale, attraverso attività utili alla comunità: nella scuola, si potrebbe incardinare tale principio della giustizia riparativa, promuovendo laboratori formativi che favoriscano negli studenti lo sviluppo di relazioni rispettose, formando anche chi vi lavora nella gestione riparativa dei conflitti. La questione, tuttavia, rimane complessa e delicata, perché si deve raggiungere un equilibrio tra le varie componenti qui richiamate brevemente in causa.

La professoressa Condò, accoltellata in classe da uno studente sedicenne attualmente nel carcere minorile “Beccaria”, ha confermato che l’alunno non aveva una situazione critica e non rischiava l’anno, poiché ha specificato che “le note che aveva erano di febbraio per compiti che non aveva fatto. C’era stata qualche piccola ragazzata di recente, come lo spray maleodorante sparso in classe insieme ad altri due compagni. Per questo la coordinatrice, non io, aveva convocato i genitori dal preside. Dovevano incontrarsi martedì, il giorno dopo i fatti”. Il passo da uno scherzo alla tragedia, come testimonia la cronaca, è breve.

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