Ci preoccupiamo, a ragione, delle “fughe di cervelli” verso mete che offrono maggiori occasioni di lavoro e migliori retribuzioni rispetto all’Italia, soprattutto nella ricerca scientifica. Ma se l’istruzione ha l’enorme importanza che tutti le attribuiscono, non dovremmo chiederci cosa fare per attirare verso l’insegnamento una parte dei migliori studenti che ogni anno concludono il percorso scolastico?



Come sappiamo, gli stipendi dei docenti italiani sono tra i più bassi d’Europa e nettamente al di sotto anche della media Ocse: 31mila euro annui contro 44mila (fonte: La Tecnica della Scuola). Un loro consistente aumento dovrebbe quindi essere una delle prime mosse per far crescere l’interesse dei “cervelli” per l’insegnamento. È vero però che l’entità delle retribuzioni è fortemente correlata a quella del Pil, il che non favorisce una rapida soluzione del problema, se la ricchezza complessiva non aumenta significativamente.



D’altra parte, il Paese in cui gli insegnanti godono probabilmente del maggior prestigio è la Finlandia, che li paga più o meno come quelli italiani. L’insegnamento è infatti la professione più ambita dai giovani finlandesi, che la antepongono a quella del medico e dell’avvocato. La cosa si spiega con l’estrema selettività dell’accesso ai corsi universitari che formano i docenti per i vari ordini di scuola, che ne escono con un solidissimo equipaggiamento professionale. Oltre ad aver acquisito un elevato livello di preparazione nella scuola superiore, i candidati devono superare una prova scritta su temi assegnati in precedenza. Seguono varie altre prove e dei colloqui per mettere a fuoco la personalità del candidato e le motivazioni che lo hanno spinto verso questa scelta. Solo uno ogni 9-10 viene ammesso.



È questa la base dell’ottima reputazione di cui godono gli insegnanti presso l’opinione pubblica e presso le famiglie in particolare. Quello che attira i ragazzi finlandesi è proprio la prospettiva di entrare a far parte di un corpo professionale qualificato e stimato, di trarre per questo soddisfazione dal loro lavoro e di poter contare anche sul supporto di consulenti esperti quando dovranno affrontare situazioni particolarmente problematiche.

È necessario e urgente muoversi in questa direzione. Anche in Italia si dovrebbe diventare insegnanti solo a certe condizioni, cioè avendo conseguito a scuola una solida preparazione culturale e superando prove selettive per accedere a un percorso rigoroso tanto dal punto vista teorico, quanto da quello applicativo (seminari, simulazioni, tirocini).

Per realizzare un cambiamento del genere, si può puntare su corsi universitari fin da principio orientati alla formazione dei docenti, oppure dedicare alla formazione didattica il biennio dopo la laurea triennale. E ovviamente si dovranno tenere nel debito conto le differenti “destinazioni” dei futuri docenti (scuola dell’infanzia, primaria, media, superiori).

Verrebbero così smantellati gli attuali meccanismi della formazione e del reclutamento, che generano numerose immissioni in ruolo di personale poco o per nulla verificato. Le supplenze potrebbero essere affidate, almeno in parte, ai nuovi docenti come tirocinio.

Ci sono infine provvedimenti che già da oggi migliorerebbero, oltre alla qualità, l’immagine della scuola. Tra questi, il più importante è garantire che tutti gli studenti possano avere insegnanti sufficientemente buoni. In altre parole, togliere dalla cattedra quelli effettivamente inadeguati o professionalmente scorretti, che danneggiano gli studenti e la credibilità dell’istruzione pubblica.

Nel 2017 la ministra Valeria Fedeli dichiarò, in un’intervista al Sussidiario, che “l’inamovibilità a fronte dell’incapacità non dev’essere più possibile”. Era la prima volta che un ministro si esprimeva su questo problema. Purtroppo la legislatura finì senza che l’argomento venisse affrontato in concreto.

Speriamo che se ne occupi il ministro Valditara, che ha più volte sottolineato la necessità di “restituire autorevolezza e dignità” agli insegnanti; e in questa direzione ha già preso provvedimenti pienamente condivisibili come il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato per i docenti aggrediti e la forte rivalutazione della disciplina come condizione essenziale per il lavoro scolastico.

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