Ad Abbiategrasso, grosso comune alle porte di Milano, i genitori del ragazzo che nel maggio scorso ha accoltellato in classe la sua professoressa di storia hanno dichiarato di voler fare ricorso contro la bocciatura e l’espulsione dello studente dal locale liceo scientifico. A Rovigo, i docenti dell’allievo di un istituto tecnico che in ottobre ha rischiato di accecare la sua docente di chimica con una pistola a pallini e del compagno che ha filmato e messo in rete l’episodio hanno promosso entrambi con la media dell’8 e un 9 in condotta. Si aggiunga che, nel primo caso, l’avvocato della famiglia ha parlato di “decisione pilatesca” adombrando che l’insegnante farebbe, in sostanza, del vittimismo.



Sono episodi, protagonisti tre minorenni, di una tristezza infinita e che fanno tornare alla mente questa considerazione attribuita allo psicologo Erich Fromm: “Perché la società dovrebbe sentirsi responsabile solo per l’educazione dei figli, e non per l’educazione di tutti gli adulti di ogni età?”.

Ce lo chiediamo anche noi proprio nei giorni in cui sono in corso i cosiddetti “esami di maturità” che dovrebbero (il condizionale è quanto mai obbligatorio) certificare la vera e propria entrata dei nuovi maggiorenni nell’età adulta. Da una parte la famiglia e chi la rappresenta (caso di Abbiategrasso), dall’altra la scuola (caso di Rovigo) certificano (questa volta davvero) che l’una e l’altra procedono di pari passo e sotto braccio, ma non come accedeva fino a mezzo secolo fa o giù di lì, con mamme e papà che si guardavano bene dal mettere in discussione valutazioni e comportamenti degli insegnanti, magari anche quando questi ultimi si trovavano nel torto.



Era una forma, per quanto portata all’estremo, di rispetto verso persone che rivestivano un ruolo primario nella formazione dei loro figli e verso una istituzione che rappresentava l’impegno assunto dallo Stato verso i propri cittadini. Dopo una breve epoca di contrapposizione scuola-famiglia, si sta ora tornando a camminare dalla stessa parte, ma opposta rispetto a quella precedente: guai a toccare i figli, guai a bocciare gli alunni, guai a ledere i loro diritti, guai a parlare di loro doveri, mercé genitori ed insegnanti occupati a tenere i loro pargoli sotto una campana di vetro. “Una risata vi seppellirà”, famoso motto anarchico-sessantottino, va aggiornato con “Il buonismo vi seppellirà”, intendendo la cancrena che si sta divorando la società nel suo complesso, dove la virtù della bontà è stata ormai sostituita dalla sua degenerazione con cui si rinuncia ad educare in nome di una parola magica, inclusione, che finisce col fare giustizia a senso unico. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha subito rilasciato alla stampa questa dichiarazione a proposito dei fatti di Rovigo, i più recenti: “Se la scuola ha lo scopo di educare, penso si sia persa un’occasione. Chiedo scusa all’insegnante”. Non accade spesso che un politico, per di più esponente di governo, presenti delle scuse. Aspettiamo anche quelle di docenti, genitori e, perché no, avvocati. In nome dei diritti e doveri di tutti.



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