Nel tragicamente comico Gotterdämmerung italico, lemme lemme una barchetta – quella dell’Invalsi – è giunta, dopo quasi 20 anni, al suo approdo. Un riconoscimento internazionale è arrivato nel marzo scorso da Andreas Schleicher, capo della Direzione istruzione dell’Ocse che ha espresso apprezzamento per l’organicità e l’attendibilità scientifica del sistema di valutazione standardizzata esterna italiano. Non peraltro un uovo fuori dal cesto, ma un buon esempio di quella che viene definita Global Testing Culture, diffusasi negli ultimi due decenni a livello internazionale, che anche i suoi storici avversari, almeno quelli stranieri, oramai ammettono essere un punto di riferimento per lo sviluppo dei sistemi di istruzione. Un punto di riferimento, certo, da non accettare supinamente, ma da mettere sempre in discussione per migliorare.
L’approdo: nella primavera scorsa si è tenuta la prima sessione di prove per gli studenti del quinto anno della scuola superiore. Risultato: un plebiscito – una volta si diceva – bulgaro: 96,7% di partecipazione volontaria. Volontaria perché, se le scuole erano tenute ad organizzarla, per gli studenti la partecipazione non era più condizione necessaria per l’ammissione alla maturità. In ottobre infatti il ministro e i rappresentanti grillini in Parlamento avevano fatto in modo di sospendere tale obbligo, non potendo per il momento fare di più. Un modo di rispondere alla propria base elettorale significativamente composta, soprattutto in alcune zone di Italia, da insegnanti che, passati infine in ruolo con il governo Renzi, lamentavano di non averlo potuto fare sotto casa ed aspettavano dall’exploit elettorale anche l’affossamento di Invalsi. Mossa improvvida però, come si era previsto anche qui; ché, in presenza di un obbligo della prova, forse si sarebbero messi in moto meccanismi di sabotaggio efficaci ed un’opposizione sorda ma potente, mentre la riservatezza per ogni studente della somministrazione e della restituzione dei risultati, la modernità dello strumento informatico e l’utilità della certificazione per università e lavoro hanno convinto la quasi totalità dei giovani, rendendo lo strumento oramai inattaccabile.
A livello generale come stanno le cose?
1. la somministrazione informatica ha risolto i problemi di cheating e l’opposizione degli insegnanti per il lavoro aggiuntivo, anche se rimane il problema della non conoscenza di tutte le prove utilizzate;
2. i framework e con essi le caratteristiche delle prove evolvono, anche se non macroscopicamente, per evitare l’incomparabilità di una annualità con l’altra;
3. la restituzione dei risultati si è arricchita delle comparazioni longitudinali e dell’analisi del valore aggiunto.
Sembra di poter dire che a questo punto l’impianto tecnico-scientifico è varato, anche se ovviamente non può che essere continuamente cambiato e migliorato, mentre si apre il problema politico dell’utilizzo di questi buoni dati.
In alcuni paesi questo tipo di valutazione viene definito high stakes (ad alto rischio) perché può influire sul destino delle scuole arrivando a determinarne la chiusura, su quello degli insegnanti contribuendo alla loro valutazione ed anche su quello degli studenti, orientandone la carriera scolastica. Su questa falsariga, il nostro sistema potrebbe essere definito a lowest stakes.
Dopo parecchi anni di esperienza, possiamo ormai dire cosa succede. Le scuole sono libere di fare dei dati ciò che vogliono fino all’ignorarli e sostanzialmente nasconderli. Naturalmente non mancano esempi virtuosi, virtuosissimi, ma senza una rete di assicurazione non possono fare sistema. La pubblicità presso le famiglie, tanto temuta dalle nostre anime belle come causa di segregazione sociale, in mancanza di adeguata pubblicizzazione ha determinato spostamenti limitati ai ceti più acculturati ed avvertiti di alcune zone del paese e per certi tipi di scuola. Alla faccia dell’equità. Ricadute sugli operatori: velleitariamente presi di mira, in modo peraltro molto confuso, i dirigenti scolastici che avrebbero dovuto rispondere (loro soli) del raggiungimento dei loro obiettivi del Rav. Alla fine un niente di fatto.
Il Snv si trascina stancamente, in sostanza per problemi organizzativi (numero e funzione degli ispettori… aspirazione di ministeriali a risucchiare il tutto), i numeri delle scuole visitati sono bassi e perciò la periodicità non garantita. Anche se ci si pone come solo obiettivo il miglioramento e non la valutazione, bisogna che chi nelle scuole si impegna si senta sorretto da un sistema solido e certo e da una volontà politica ferma. Diversamente l’impegno che all’inizio del processo la maggioranza delle scuole ha mostrato verso il Rav sfumerà al solito verso un orizzonte brumoso.