Si chiamava Zaki Anwari il giovane afghano precipitato dall’aereo statunitense in fase di decollo, al quale si era aggrappato nella speranza di sfuggire la morsa talebana. Aveva 19 anni ed era una promessa del calcio. Un novello Icaro al quale anziché le ali, bruciatesi nel mito al calore del sole, non hanno tenuto le forze fisiche. L’effetto è stato lo stesso: lo schianto sulla terra. Oltre che nel calcio Zaki confidava forse nella promessa americana di salvare la sua gente. Non tanto dal terrorismo e dalle basi di al Qaeda (missione compiuta!) ma proprio dal non senso dell’esistenza. Democrazia e felicità sono (o meglio erano) inscindibili nel patrimonio di valori sulla base dei quali fu fondato il Mondo Nuovo sull’altra sponda dell’Atlantico.

Non sapeva forse, il povero Zaki e altri con lui, che il binomio democrazia-felicità si è da tempo spezzato. La democrazia che l’America esporta da un certo tempo, non hanno importanza i colori dei governi, è il culto esasperato dell’individualismo o meglio un generico scetticismo sulla possibilità di salvarsi insieme, mentre la felicità implica uno sguardo buono verso il destino di ognuno.

Il Meeting di Rimini sta insegnando in questi giorni che non basta la democrazia a battere il vuoto della società contemporanea dove i tanti “io” faticano a sentirsi un “noi”. Quando Pirandello scriveva Uno, nessuno e centomila c’era il fascismo, eppure oggi i giovani a cui è assegnata questa classica lettura non distinguono il contesto: nelle cosiddette società opulente e tecnologicamente interconnesse la solitudine non è affatto vinta dai simboli o dai valori (pace, fraternità) che sono stampati sulle magliette. Il giovane liceale si sente anche oggi interpretato dal testo pirandelliano pur chattando tutti i momenti con la propria comunità social. Infatti, non basta essere interconnessi per essere felici. Se c’è democrazia ma manca il cuore che ti fa accorgere delle persone che hai accanto, un povero essere che ti si aggrappa alle costole lo lasci andare a schiantarsi contro un muro.

Il Meeting di Rimini presenta in alcune sue mostre situazioni di grande dolore e violenza. L’abbandono scolastico di cui l’Italia è leader è una di queste circostanze. Possibile che non ci si accorga di come la Dad (didattica a distanza che stava quasi per essere esaltata come modo normale di fare lezione: ministro Bianchi, se ne guardi!) abbia disseminato il mondo infantile-adolescenziale di dolore? Il dolore della distanza, appunto, molto prossimo al dolore dell’abbandono. Una bella macchina che lascia i propri utenti sospesi nel vuoto.

Ma didattica a distanza a parte, come può un insegnante odierno, occidentale e democratico, fare promesse di felicità ai propri alunni (non è implicito nel curriculum scolastico? Studia e sarai felice!) se non si allena, come le donne africane amiche di Rose Busingye, a spaccare le pietre per qualcuno? Vedi mostra relativa al Meeting. Come può accadere che un insegnante occidentale-democratico possa riempire di senso le proprie lezioni (e non di scetticismo) se non educandosi continuamente all’arte di spezzare il pane del sapere (che è un po’ come spaccare le pietre) facendolo insieme a qualcuno e soprattutto “per” qualcuno? Un qualcuno che ha nome e cognome, che non è né nessuno né centomila, ma proprio quello lì con la sua faccia, la sua storia, i suoi problemi.

Stiamo forse dicendo che si debba improvvisamente curvare, oggi nella società complessa, sull’insegnamento individualizzato, tipo il precettore del Settecento? No, non stiamo dicendo questo. Stiamo dicendo che se la scuola vuole diventare un luogo in cui si costruisce il futuro di un popolo, chi guida l’aereo, il pilota della lezione in presenza o in Dad, deve avere un cuore educato anzitutto lui. E non basta un corso di aggiornamento. Occorre guardarsi allo specchio nella propria miseria, sempre colmata gratuitamente di una sapienza altrui, per poter dire a un altro: tu sei un valore!

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