La giornalista Irene Famà, sulla Stampa di ieri, ci ricorda una tragica vicenda accaduta qualche anno fa a Torino in una seconda classe dell’allora scuola media, diventata da qualche anno – dopo una delle tante rivisitazioni delle sigle che tanto appassionano gli addetti ai lavori del ministero – scuola superiore di primo grado. Un bambino affetto da gravi disabilità motorie e cognitive era da sempre vittima della violenza di un bullo suo compagno di classe. Una ferocia bestiale, visto che “ogni giorno lo umiliava, lo insultava, sputava sulle sue cose e nel suo bicchiere, gli prendeva le mani, come fosse una marionetta, per fargli fare ciò che voleva”. Ma nessuno, salvo i compagni, se n’era accorto. O meglio, aveva voluto accorgersene. Né i docenti curricolari, né, fatto questo inaudito, i docenti di sostegno, che a detta dei ragazzi erano soliti essere assenti o quando c’erano “erano impegnati a guardare il cellulare o il tablet”.
A distanza di sei anni da quei terribili episodi, e grazie a quanto una coraggiosa e isolata compagna di classe del ragazzo bullizzato aveva denunciato in un tema proprio sul bullismo, si sta svolgendo finalmente a Torino il processo nei confronti dei due docenti che avrebbero dovuto seguire e soprattutto proteggere il loro sfortunato allievo.
Uno dei due ha patteggiato un anno di reclusione; per l’altro, invece, è stata richiesta una pena di un anno e sei mesi. Il bullo, che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto i 14 anni, ha scritto una lettera alla famiglia dell’allora sua vittima, chiedendo scusa, riconoscendo le proprie colpe e definendo quel suo comportamento con un termine quanto mai appropriato, “bestiale”, appunto. Ma a parere di chi scrive, altrettanto e direi ancor più bestiale fu il comportamento di chi venne meno (purtroppo viene da pensare che non si tratti soltanto dei due docenti di “sostegno”) ai propri doveri di educatori e di cittadini che tra i propri compiti prioritari hanno quelli di insegnare ad avere il rispetto per gli altri e soprattutto ad essere d’aiuto di fronte a tutti coloro che la vita ha reso più fragili.
Ma ci sono altre e ugualmente gravi responsabilità. Innanzitutto di coloro che, di fronte a episodi altrettanto gravi, tendono a tenerli nascosti e a risolverli nel chiuso del proprio orticello, che spesso deve apparire verde e rigoglioso di fronte alle convenienze del quieto vivere e della tutela del proprio “buon nome”. È sconfortante che comportamenti così ipocriti avvengano all’interno delle scuole, non di tutte per fortuna!, ma è un dato di fatto che questi vi siano e che a volte si arrivi perfino a tollerare i bulli pur di evitare gli scandali. E vi sono ancor più gravi responsabilità da parte di molti di coloro che, anche ai livelli più alti dell’apparato ministeriale, si trovano da anni a gestire i problemi dei ragazzi che necessitano dei docenti di sostegno.
Come, beninteso insieme a molti altri, da anni vado denunciando, vi è stata e forse vi è ancora, da parte di molti responsabili del settore e degli stessi ministri che si sono succeduti in viale Trastevere, una responsabilità piena e forse accompagnata da neghittosità soprattutto per quanto concerne la formazione dei docenti di sostegno. La gran parte di questi ultimi si trova a ricoprire un ruolo difficilissimo e delicato senza aver ricevuto neppure un minimo di formazione e molti scelgono questa professione solo perché non hanno altre strade per trovare una qualsiasi sorta di occupazione.
Il bullo di allora ha chiesto scusa alla famiglia dell’allora bullizzato ragazzino affidato alla scuola perché crescesse con gli altri e insegnasse anche agli altri come si può vivere, malgrado la sfortuna, con dignità e rispetto. Tutto ciò gli è stato negato. L’ex compagno di classe si è scusato. E i tanti che dovrebbero unire le proprie scuse alle sue?
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