Con l’avvio del nuovo anno, la nave della scuola è salpata, ma la sua navigazione è incerta. Parte dell’equipaggio è in subbuglio e sembra non avere chiara contezza della tempesta in atto. Tutto accade come se la riapertura della scuola celebrasse il ritorno alla normalità e alle problematiche di routine, non l’inizio di una traversata pericolosa.
La nave, infatti, ha alcune falle.
In molte scuole, non si hanno né banchi sufficienti, né spazi adeguati. Mancano i docenti e spesso si fanno orari ridotti, per non correre il rischio di lasciare gli alunni in classe, da soli. L’attribuzione degli incarichi di supplenza, da parte degli uffici territoriali (quelli che una volta si chiamavano provveditorati), non funziona. In alcune province toscane, come Firenze, sono state revocate le nomine già assegnate, “per incongruenze”, che è un’espressione amministrativo-misterica.
Le graduatorie, cosiddette Gps (graduatorie provinciali per le supplenze), realizzate per la prima volta con strumenti telematici, forse sarebbero state meglio utilizzabili se avessero previsto, al momento della convocazione dei candidati per la proposta delle supplenze, una procedura informatizzata o un applicativo. Le domande, poi, per la verifica dei titoli sono state affidate indebitamente alle scuole, proprio in un momento in cui le segreterie erano impegnate per l’avvio dell’anno scolastico. Si preannuncia, così, un autunno in cui pioveranno contenziosi giudiziari, unitamente agli usuali acquazzoni.
Ad Arezzo, in occasione di una convocazione per l’assegnazione delle supplenze, sono intervenute le forze dell’ordine, per evitare che la situazione degenerasse. Molti aspiranti supplenti giungono a Firenze, dal Sud, con auto, treno e aereo, spesso accompagnati dai familiari. Una sorta di esodo, alla ricerca della terra promessa del lavoro stabile. Un “esodo” che, a breve, schizofrenicamente, diventerà una “deportazione”, nelle retoriche sindacali. L’amministrazione, che si è mossa con la tradizionale lentezza delle tappe ordinarie, non è stata in grado di far fronte alla straordinarietà del momento. Per questo, oggi, la nave cavalca onde via via più impetuose.
Alcune scuole, appena riaperte, rapidamente si richiudono, in tutto o in parte. Il fasciame della nave scricchiola e alcuni marinai protestano. Una parola ricorre: “diritti!”. Ma questo termine, che racchiude alcuni secoli di una nobile storia politica e sociale, mal si addice alle rivendicazioni che vengono mosse. Qualche docente si lamenta perché non ha ottenuto il giorno libero desiderato, qualcun altro perché l’orario non è funzionale ai suoi bisogni familiari; c’è chi vorrebbe lavorare in un plesso diverso da quello assegnatogli e c’è chi chiede di insegnare in una classe anziché in un’altra. Come se il Covid-19 non esistesse.
Una parte dei genitori protesta: alcuni per le regole sanitarie troppo rigide, altri perché non sono rigide. Poi protestano ancora…
Oltre a ciò, si assiste alla geremiade sindacale, che potrebbe condensarsi in una sola accusa, rivolta al ministero, quella di non essere stati “consociativamente” coinvolti nelle decisioni, come è invece avvenuto negli ultimi decenni. Per questo minacciano lo sciopero generale. I Cobas, invece, lo sciopero lo fanno, seppur con limitate adesioni.
Una parte dei marinai lavora silenziosamente, tira diritto, perché ama il proprio lavoro. Essi avvertono dentro di sé l’imperativo del dovere, che è il senso primario di qualsiasi educazione civica e fonda l’etica, che nasce ancor prima delle leggi. Il loro esempio è il primo messaggio educativo lanciato ai giovani, più elevato, in questo momento, della trasmissione di qualche conoscenza. Sono loro che, assieme ai presidi, reggono la nave, nonostante il rollio aumenti vorticosamente.
Nella cabina di comando forse mancano le competenze, di sicuro non c’è l’autorevolezza di chi, nella tempesta, indica all’equipaggio stremato un approdo sicuro, seppur lontano all’orizzonte.
“Ignoranti quem portum petat nullus suus ventus est”. Nessun vento, ammonisce Seneca, è favorevole al marinaio che non sa dove andare.
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P.S. Dedico questo articolo a quei “marinai” della mia scuola, l’Itis “Galilei” di Arezzo, che, in questi giorni, silenziosamente e con disponibilità personale, compiono il loro dovere e molto di più. Con loro, per quello che può valere la mia voce, ringrazio anche gli altri “marinai” della scuola italiana e i miei colleghi presidi che, nonostante tutto, riescono a tenere la barra.