Nella sua ormai nota intervista al Corriere della Sera, il cantante Ultimo diceva: “Essere giovani oggi è tremendo. Perché sei senza punti di riferimento”. Alla fine di un altro anno scolastico queste parole per insegnanti e genitori sono una vera provocazione, perché spingono a dare un giudizio sull’anno che si è vissuto insieme ai nostri ragazzi, per capire se si è stati o no punti di riferimento per loro. Per me quest’anno non è stato semplice. L’immagine che più mi ricorda questo periodo di fine scuola è quello che segue ad un grande naufragio lontano dalla costa, tante persone che cercano di raggiungere la riva, ognuno con i mezzi che ha. Ci sono i nuotatori capaci che hanno raggiunto la fine dell’anno con fatica ma senza troppi problemi, e ci sono i tanti, troppi alunni, che hanno raggiunto terra con dolore e sofferenza a causa della continua paura di affogare.
Poi ci sono quelli rimasti indietro, quelli andati a fondo, che non sono più riemersi, e quelli dispersi, che ad un certo punto, caduti in acqua, hanno provato a cavarsela da soli senza arrivare da nessuna parte. Sono dispersi in attesa di qualcuno che li possa aiutare e salvare. Parlo dei ragazzi che si sono ritirati da scuola in corso d’anno o di quelli rassegnati già da tempo a far nulla perché non si sentivano più in grado di poter affrontare il percorso scolastico.
Molti di loro mi hanno scritto, in modo anonimo, di questa fatica: “Ogni mattina mi alzo dal letto con il timore di giudizi dei prof. La scuola mi rende debole e incapace di uscire dagli schemi della vita quotidiana. Sto soffocando di fatica sia mentale che fisica. Ogni mattina mi alzo ed è come se fossimo in guerra. Qualcosa deve cambiare. Mia madre sa quanto io mi impegni, ma mio padre non sa nulla di me, l’unica cosa che fa è dirmi che sono mediocre se prendo un 6 e mezzo. Ogni giorno mi alzo pensando a che voti prenderò a scuola, ho costantemente paura di deludere i miei genitori. Dopo la scuola ho il terrore di tornare a casa perché ho paura che i miei mi urlino contro per il mio andamento scolastico, spesso appena arrivo a casa mi chiudo in camera fino alla sera, esco solo per cenare e pranzare. I miei genitori mi assillano di rimproveri, dicendo che sono vagabonda e che mi bocceranno, ma la cosa per cui sono stata molto male è che per loro sono una delusione, tante sere ho pianto a tal punto da farmi del male…”.
Oltre a queste potrei raccontare tantissime altre storie. Direi che il termine “tremendo” usato da Ultimo descrive abbastanza bene la vita di questi ragazzi. Il problema non è soltanto la continua performance a cui sono chiamati, ma la mancanza di adulti che li sostenga in una crescita che non sia soltanto la vita scolastica. La responsabilità di questa situazione ricade sia sulla scuola che sulla famiglia. Vedo molte famiglie sole e sfasciate, la scuola sempre più burocratizzata ed incapace di affrontare le sfide sempre più complesse e personali dei ragazzi.
Qualcuno ricorda la lettera degli studenti del Liceo Berchet di Milano che un anno fa è stata pubblicata su tutti i media nazionali? I ragazzi scrivevano: “È necessario che la relazione empatica tra studenti e professori, con cui non desideriamo scontrarci ma confrontarci, diventi la norma”.
Sembra sia caduto tutto in un dimenticatoio, nulla è cambiato e le difficoltà sembrano aumentare. In queste ultime settimane di scuola, con verifiche e interrogazioni che toglievano aria ai naufraghi/alunni molte volte mi è capitato di sentirmi dire: “prof, per favore oggi parliamo un po’? Abbiamo bisogno di parlare un po’ con qualcuno di quello che stiamo vivendo”, da una parte il desiderio di confronto con un adulto che possa ascoltare e a cui raccontare della propria vita, dall’altra una realtà che non concede tregua, che è incapace di organizzarsi, perché anche nelle ultime due settimane, dove si potrebbe fare un resoconto dell’anno vissuto, qualche prof deve avere almeno 9/10 voti per poter valutare l’ultimo quadrimestre, ed evitare qualsiasi ricorso o discussione in sede di scrutinio.
Ogni tanto anche dagli articoli del Sussidiario leggo di qualche collega o esperto di educazione che parla della necessità di un rilancio dell’alleanza educativa tra scuola e famiglia, ma mentre la scuola si riforma introducendo piattaforme, burocrazia e diminuendo anche spazi di dialogo tra docenti, per la famiglia è ormai difficile anche soltanto capire di chi e cosa si intenda quando si parla di famiglia: per molti genitori il rapporto scuola/famiglia è limitato a controllare i voti sul registro elettronico, alcuni si interfacciano con la scuola per gestire un’emergenza o per rivendicare qualcosa e la cronaca purtroppo ci racconta di molti episodi di conflitto sfociati addirittura in violenza.
Tutto sembra andare verso un continuo peggioramento e la pausa scolastica estiva sembra l’unica salvezza ad una vita che sembra, a molti ragazzi e adulti, tremenda e pesante da gestire. L’augurio che faccio ai mie alunni a fine estate non è soltanto quello di riposarsi, di riprendere fiato, ma di cercare gusto in una vita vera, di incontrare adulti con cui poter condividere passioni e bellezza, adulti che hanno il desiderio e il tempo di ascoltarli, ma è lo stesso augurio che faccio agli adulti (insegnanti, educatori e genitori) di incontrare persone da guardare, da cui imparare il desiderio di educare i ragazzi alla bellezza, alla giustizia e alla verità, persone da cui poter imparare a rimettersi in discussione, non tanto per essere giudicati, ma per riprendere un rapporto educativo di cui tutti abbiamo bisogno, non solo i giovani.
Bisogna innanzitutto creare luoghi di generazione degli adulti, ed attaccarci stretti a questi luoghi per poter educare. Personalmente penso al lavoro svolto tra insegnanti ed educatori di Comunione e Liberazione su un testo di don Luigi Giussani (Viterbo 77), la Bottega di religione dell’associazione Diesse, le vacanze che farò insieme ad altre famiglie e tanti altri luoghi educativi che hanno come scopo innanzitutto la mia educazione. L’estate è un tempo prezioso anche per noi adulti, non solo tempo di riposo ma anche tempo per poter scegliere con chi stare, con chi rigenerare la nostra vita. Può essere anche l’occasione per ripensare ad un nuovo inizio, un inizio pieno di desiderio di incontrare ed educare, perché se sono insegnante è innanzitutto per questo desiderio, non per il posto fisso o i 2 mesi di ferie all’anno. Quello che dobbiamo capire noi adulti è che per educare non possiamo essere soli; se abbiamo a cuore il destino dei nostri ragazzi, l’estate è il momento per rimetterlo a tema.
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