Lo stop alle attività didattiche di scuola e università in tutto il paese, disposto per arginare il contagio da coronavirus, si accompagna all’invito a ricorrere a forme di didattica a distanza. L’esortazione è da raccogliere anche perché rappresenta, allo stesso tempo, una necessità (limitare i danni nascenti dall’arresto forzoso) e una sfida (interrogarsi sulle caratteristiche delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione applicate all’insegnamento).
Ma di cosa parliamo quando parliamo di didattica a distanza?
A tale proposito è opportuno tracciare una distinzione tra extended classroom (classe aumentata o estesa) e classroom-free learning (apprendimento sganciato dalla classe). Nella extended classroom la lezione tenuta dal docente può essere seguita da una pluralità di studenti in differenti località remote attraverso sistemi di telecomunicazione, ovvero in videoconferenza, via web, ecc. A seconda dei casi, varia il livello di interazione tra docenti e studenti in remoto. Nel classroom-free learning interi corsi universitari (composti di materiali, registrazioni audio e video, letture, tutorial di autoapprendimento e autoverifica) possono essere seguiti dagli studenti tramite Internet. Gli studenti hanno la possibilità di seguire i corsi senza essere vincolati da orari e da luoghi prefissati, modellando l’impegno cognitivo in ragione delle proprie disponibilità di tempo. Molte prestigiose istituzioni hanno deciso di offrire online buona parte dei corsi che impartiscono. Così il MIT e l’Università di Stanford. Per quel che riguarda l’Italia si può citare, a titolo di esempio, “Federica”, il portale di corsi online varato dall’Università Federico II di Napoli. L’acronimo Mooc, Massive Open Online Course, individua proprio la decisione di rendere disponibili sulla rete in maniera sistematica i corsi impartiti a livello universitario.
La distinzione appena tracciata delinea scenari molto diversi per quel che riguarda gli obiettivi, i contenuti, le strategie e la valutazione. In questo momento scuole e università devono perseguire soprattutto il primo modello, ovvero devono attrezzarsi per permettere agli studenti di seguire le normali attività a distanza. Il secondo schema non si improvvisa in pochi giorni e soprattutto richiede una riflessione sulla propria identità: le grandi università (come MIT e Stanford) aggiungono i Mooc alla propria offerta, ma non si sono trasformate in università telematiche.
In ogni caso i due modelli descritti, ancorché molto diversi, hanno in comune un elemento: la “distanza”. E su questo conviene concentrare l’attenzione.
Nel tracciare la distinzione prima richiamata abbiamo usato termini inglesi. Sempre nel mondo anglofono l’insieme dei fenomeni tratteggiati viene etichettato come “e-learning”, espressione ormai largamente usata anche in Italia. Il neologismo (anche se ormai risalente) risulta dalla crasi di due parole: “electronic” e “learning” e lo possiamo tradurre come “apprendimento online”.
Ora se “e-learning” è diffusissimo, ignoto, e forse privo di significato, è il suo contraltare almeno teorico: “e-teaching”. Sembrerebbe che mentre c’è un grande interesse a capire come rendere efficace l’apprendimento usando le nuove tecnologie, nessun interesse riscuota interrogarsi sul ruolo di chi insegna con le nuove tecnologie. Ovviamente le cose non stanno così: ampia è la letteratura sul ruolo del docente nell’e-learning. Ma il peso pressoché esclusivo attribuito, almeno nel linguaggio corrente, all’e-learning forse testimonia il fatto che in questi contesti il ruolo di chi insegna viene visto, tutto sommato, come marginale: sono importanti i contenuti da apprendere, poco rilevante è chi insegna, tranquillamente sostituibile da uno schermo.
La vecchia tradizionale lezione in presenza sembra svalutarsi. Ma essa ha una caratteristica che questi nuovi strumenti non possono assicurare: la relazione, che significa creare legami temporanei o stabili. Attraverso la relazione si costruiscono rapporti di reciprocità significativi, e ci si riconosce, in quanto soggetti, membri del gruppo impegnato nella relazione stessa. È la relazione con il docente che consente ai soggetti in formazione di entrare in una comunità che condivide la costruzione di conoscenze e competenze. La relazione (didattica) trasforma ciascuno dei soggetti coinvolti. Ed è questo il vero motore dell’apprendimento.
Certo, possiamo avere docenti che fanno lezione in presenza senza trasmettere nulla sul piano emotivo; e possiamo avere tecnologie che accorciano le distanze favorendo la relazione. Sterile è ogni contrapposizione. L’importante, quando, si usano le tecnologie nella didattica, è non dimenticare da un lato che tante sono le modalità in cui questo può avvenire, dall’altro il ruolo fondamentale di chi è regista del processo di apprendimento di ogni studente: il professore. Perché le relazioni tra docente e studente e tra gli studenti tra di loro sono gli ingredienti principali dei processi formativi.