La lettera aperta del “Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità” rivolta al ministro Valditara lo scorso giugno sulla (scarsa) preparazione degli studenti italiani in storia è largamente condivisibile. Le proposte avanzate nella lettera infatti riguardano l’estensione dell’orario scolastico dedicato alla materia (attualmente di sole 2 ore settimanali in media), il ritorno alla programmazione della materia in tre cicli nell’arco dell’obbligo scolastico, il ripristino del tema di storia all’esame di maturità.
Si tratta di consigli semplici e apprezzabili. Ma forse non sufficienti, anche nel caso fossero attuati (cosa alquanto improbabile), a risolvere l’annoso problema della carenza di conoscenze storiche dei giovani. La prospettiva enucleata nella lettera è di carattere quantitativo, il che ha una sua legittimità, sebbene non sia procrastinabile anche l’aspetto qualitativo dello statuto della disciplina, tenuto conto che il contesto contemporaneo (culturale, sociale, economico) per tanti motivi è mutevole e non tanto incentrato sul tema della pubblica istruzione come fondamento dell’attaccamento del cittadino allo Stato, quanto piuttosto della costruzione di identità personali forti (quelle degli alunni) capaci di spendersi in vari tipi di situazioni.
In un mondo che sta perdendo alcune certezze fondamentali relative alla pace tra le nazioni che pensavamo stabile; in uno scenario globale che minaccia la chiusura protezionistica delle economie dei principali attori; in una realtà planetaria dominata dal web, che possiede una memoria corta e solo emotiva, per cui si soffre davanti al triste spettacolo della morte degli innocenti (in mare, in guerra, nel degrado delle metropoli nostrane) e immediatamente dopo si ride dell’ultima trovata pubblicitaria o dell’esibizione del cantante preferito, di fronte a tutto questo occorrerebbe riflettere sullo scopo ultimo della permanenza nei cicli scolastici di insegnamenti che poggiano su uno sfondo storico, oltre che beninteso sulla disciplina storica in quanto tale.
Se il compito del passato è quello di consegnare al presente una ipotesi di senso in modo che nel presente si possa progettare il futuro, se il compito della grande storia è quello di mostrare le varie strade intraprese dall’uomo per costruire forme di convivenza apprezzabili insieme ai propri simili, allora anche la disciplina storica nella scuola non può sottrarsi – poste le dovute differenze tra storia-ricerca e storia insegnata – alla finalità educativa della costruzione dell’autocoscienza dell’alunno. Che è cosa diversa dal costruire la sua identità di cittadino inserito nei meccanismi di una società già data e alla quale adeguarsi.
È perciò educativo non il tentativo di piegare la storia a qualche necessità imposta dall’esterno, sia questo esterno identificabile nelle competenze stabilite dall’Europa, o sia rinvenibile nei meandri del didattichese imposto dal PNRR nostrano, bensì mostrare che ciò che si è verificato nella storia ha a che fare con una strutturale tensione umana a superare la materialità della vita, a tradurre in idealità la lotta per la sopravvivenza, a superare le contraddizioni recuperando continuamente il nesso con un destino buono.
Solo in questo modo un’autocoscienza può muoversi e arricchirsi, perché accolta e mobilitata da un interesse. Non è possibile quando si insegna storia (a tutti i livelli) prescindere da uno sguardo religioso sull’uomo e procedere privilegiando solo gli aspetti economico-sociali, supponendo che il tema del desiderio di compimento sia attinente solo all’area artistico-letteraria e non a quella di cui ci stiamo occupando.
Insomma, solo pensando alla storia come qualcosa di vivo, come a una forma di conoscenza che esplora anzitutto gli aspetti ideali delle costruzioni umane (città, imperi, repubbliche) e che consegna alle nuove generazioni una o più tradizioni che possono/devono essere rinnovate, solo in questo modo si può effettuare con i ragazzi quel passo fondamentale che è l’immedesimazione nella storia, il pensare e vivere storicamente.
E nell’alludere a tradizioni o consegne che il passato rivolge al presente non si fa riferimento a qualcosa di prossimo al culto della patria, della nazione, delle glorie identitarie dello Stato. Cioè a qualcosa prodotto “dalla” storia stessa. Bensì a ciò che si è verificato nella storia e che ultimamente non le appartiene, non appartenendo alla logica della dialettica storica un flusso di dati, per cui fissate certe premesse se ne devono constatare conseguenze che non attengono ai dati di partenza. La storia non si ripete, checché ne dica una certa retorica stantia. È pure esistito nella storia il livello dell’incommensurabile, del non-dato-a-priori, del presentarsi dell’imprevisto. È per esempio accaduto che gli uomini abbiano coltivato la pace piuttosto che la guerra, che abbiano creduto alle leggi e agli ordinamenti che essi stessi avevano prescelto, che si siano fidati di qualche istituzione o costituzione posta a presiedere il loro cammino comunitario. Sono esistite epoche piene di scoperte geografiche e scientifiche che hanno contribuito a elevare il livello della qualità della vita. È esistita anche una buona diplomazia accanto al machiavellismo politico. È appunto con questo tipo di storia che si può chiedere a un giovane di immedesimarsi e di riflettere storicamente.
Come? È chiaro che si deve studiare un percorso didattico, costituito di contenuti digeribili, spazi, materiali, orari e modalità di apprendimento. Un buon metodo, per esempio, è quello di consentire ai ragazzi di ragionare sugli eventi: che cosa sarebbe successo se si cambiassero alcuni fattori? In altri casi si possono inventare occasioni di partecipazione che fanno uso degli strumenti informatici e che, a partire dal testo scolastico o dalla lezione dell’insegnante, permettono di ricreare situazioni storiche (mettere in scena qualche episodio o personaggio storico particolarmente rilevante). Si possono utilizzare i materiali audiovisivi di cui è ricco il web per selezionare e usare la funzione critica a più livelli: critica dello strumento e critica del contenuto. Le risorse didattiche sono infinite, così come entusiasmante può risultare la disponibilità a imparare, se ci sono una domanda e un interesse. È comunque importante non smarrire lo scopo, che non è quello di riempire dei sacchi vuoti, ma risvegliare una curiosità per l’umano di cui è poi fatta anche la vita di tutti i giorni.
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