Il ministero dell’Istruzione e del Merito (Mim), ex Miur, è impegnato in un’azione di profonda revisione della sua struttura, che sta toccando l’organizzazione interna e la ricaduta esterna delle sue funzioni. A monte di questa ristrutturazione si pongono, da una parte, la novità della categoria di “merito” posta a titolo del dicastero, dall’altra le sollecitazioni implicite nella Missione 4 del Pnrr (Istruzione e Ricerca).
Quanto al merito, l’Atto di indirizzo politico-istituzionale del ministro Valditara per l’anno 2024 specifica che il ministero “in coerenza con il cambio di denominazione intende valorizzare le iniziative volte a potenziare le attitudini e le capacità di ogni singolo studente, nella convinzione che il sistema scolastico debba coltivare le capacità e le attitudini delle studentesse e degli studenti con l’intento di sostenerli nell’intero arco della carriera scolastica”. Questo obiettivo, al di là di tutte le successive integrazioni e variazioniss di significato, è indicativo di una visione entro la quale intende porsi l’attuale governo (e, verrebbe da dire, con le dovute distinzioni, l’intera classe politica), che è la completa trasformazione del sistema di insegnamento-apprendimento nel nostro Paese, inteso fino ad ora in forma dialettica o dialogica.
Per forma dialettica o dialogica si intende un metodo per cui l’insegnante insegna e l’alunno recepisce e (se può) reagisce rispetto a quanto gli è proposto. A questa modalità, che pure ha avuto un certo successo, specie nell’istruzione superiore liceale, si sta affiancando, o forse sovrapponendo, un altro modo di fare scuola, nel quale non conta tanto ciò che si insegna, purché il contenuto della comunicazione sia ben recepito, tanto che l’insegnante deve curarsi non solo dell’apprendimento dell’allievo, ma dei tempi, dei ritmi, delle procedure che presiedono a detto apprendimento.
In altri termini, se io (insegnante) ritengo di avere qualcosa di importante da esprimere a te (alunno) e tu non mi capisci, dovrò rimodulare il percorso della materia o disciplina, in modo che sia finalmente fonte di acquisizione di un sapere anche per te. Il rapporto tra due soggetti (insegnante-alunno) che non escludeva affatto l’intervento di aiuto, fatta salva una certa oggettività del sapere, e che determinava una scuola imperniata sulla comunicazione da soggetto a soggetto, si trasforma oggi sostanzialmente in un monologo. Ma attenzione: chi parla alla fine non è l’insegnante, né l’allievo, ma il materiale didattico non interpretabile che è il risultato di un processo di semplificazione dei dati. Come si è arrivati a questa situazione?
A monte contano i dati Ocse e la necessità di realizzare, di conseguenza, gli obiettivi del Pnrr. Il Piano integrato di attività e organizzazione 2024-2026 (Piao) che tocca l’architettura dell’amministrazione, ma anche il “valore pubblico” del sistema scolastico e universitario, inteso “come volano di sviluppo economico e sociale”, risente fortemente, come tutte le più recenti programmazioni ministeriali, delle valutazioni Ocse sulle insufficienti performance del nostro impianto di istruzione e formazione obbligatorio e ricorrente. In riferimento all’abbandono scolastico, nonostante i progressi registrati negli ultimi anni, nel 2022 la quota di giovani tra i 18 e i 24 anni con al più un titolo secondario inferiore e non più inseriti in un percorso di istruzione o formazione è stimata all’11,5%, in miglioramento rispetto all’anno precedente (12,7%), ma ancora troppo alta rispetto al benchmark europeo per il 2030, fissato al 9%.
Per fare un altro esempio, nel 2023 si rilevava che per quanto riguarda l’istruzione tecnico-professionale, il tasso di giovani italiani che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo (Neet) di età compresa tra i 15 e i 34 anni con un diploma tecnico-professionale è pari al 28,1%, ben al di sopra del 12,0% dei loro coetanei con un diploma di istruzione secondaria superiore a indirizzo liceale o post-secondaria non terziaria e anche notevolmente al di sopra della media dell’Ocse, pari al 15,2%.
In questo contesto, precisa il Piao, occorre intensificare le procedure di digitalizzazione, ma soprattutto, onde avere “una scuola di tutti e per tutti”, ricorrere a “programmi ed iniziative di mentoring, tutoraggio, orientamento personalizzato”. Fin qui tutto bene, verrebbe da dire. Poi, tuttavia, il documento (e non è certamente l’unico) insiste sul privilegio che deve essere accordato in tutti i percorsi secondari di secondo grado, onde rispondere alle urgenze (personalizzazione e veicolazione di materiali di immediata fruibilità), alle “discipline Stem” (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica).
Il potenziamento delle discipline tecnologico-informatiche (che comunque non sono neutre!) è indubbiamente una scelta inevitabile nell’attuale panorama delle conoscenze. E perché allora non anche le lingue (e dove collocare poi le letterature?). Non si tratta qui di rispolverare l’antica e superata querelle tra scuola umanistica e scuola scientifica, ma capire quali possano essere le priorità pedagogiche e didattiche rispetto a giovani che si attendono di essere educati allo spirito critico, e non solo alla effettuazione di procedure.
L’eccessiva attenzione alle procedure di apprendimento legittima l’osservazione sul carattere “monologico” della attuale formazione. Ancora sul “valore pubblico” della istruzione, l’Atto di indirizzo 2024-2026 di cui sopra, oltre al richiamo immancabile alle Stem (“una sfida che la scuola italiana deve giocare al massimo delle sue possibilità”), che ha un risvolto istituzionale nella prosecuzione della riforma degli istituti tecnico-professionali, insiste sull’importanza dell’orientamento scolastico, funzionale a realizzare un apprendimento “lungo tutta la vita”. E affinché questo sia possibile, si continuerà a valorizzare le due nuove figure del docente tutor e del docente orientatore che, secondo il Mim, sono state accolte con successo.
Sembra di poter dire, a conclusione di questo excursus, che i cambiamenti in corso, per quanto radicali, non elidono tuttavia la libertà di insegnamento né la libertà di scuola in un sistema nazionale statale-paritario. Due corni della questione che meriterebbero di essere sottoposti ad un’attenzione particolare. Da una parte infatti la formazione e l’aggiornamento degli insegnanti non possono non essere proposti dentro una pluralità di opzioni. Allo stesso modo, se il grande organismo statale vuole crescere, potrebbe talvolta essere spinto a verificare (non solo finanziare, come è di diritto) anche ciò che avviene nel più piccolo, ma non meno produttivo e creativo ramo non statale-paritario.
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