Nel dibattito politico-culturale esiste un luogo invisibile e ignorato, che ha un nome: scuola. Per i partiti tutto è più importante: politiche culturali radical chic da imporre in Italia, nuovi diritti relativi a minoranze rumorose che reclamano capricci individuali destinati a diventare legge, per assecondare i narcisismi, ormai moltiplicati.
Così un mondo costituito da 8,3 milioni di alunni e 730mila docenti, senza considerare collaboratori scolastici, segretari e dirigenti, resta ai margini della discussione politica.
Questo fatto è significativo di un metodo errato all’origine; anziché guardare un macroproblema o una macrosituazione ci si concentra su questioni interessanti per pochi che però impongono a tutti l’agenda, grazie all’aiuto di luoghi occulti di potere. Eppure chi sta in trincea e non dietro le reazioni del momento vede quello che sta accadendo: un cambiamento drammatico.
Il “deserto cresce”, cioè il nichilismo avanza con le sue inevitabili conseguenze. Diversi genitori sembrano adultescenti incerti nell’esercitare il loro ruolo. Molti sono pronti a contestare il docente per una lieve insufficienza data all’idolo-figlio o per un rimprovero. Anche loro, in fondo, concepiscono il figlio come la pedagogia dominante: un ente cognitivo interessato alla prestazione e non un io alla scoperta della realtà tutta.
E gli studenti? Tanti vivono la scuola come luogo di socializzazione. È bello andare a scuola, soprattutto, perché si possono trovare dei coetanei e talvolta si può anche sentire qualche argomento figo raccontato da un signore o una signora di mezz’età, mediamente sopportabile. Essendo ridotti all’osso i luoghi educativi significativi nel passato (oratori, gruppi di volontariato, associazioni di giovani eccetera), la scuola, dunque, diventa determinante per strappare gli adolescenti al dominio di social media e serie tv.
E i sindacati che ruolo esercitano nella scuola? Semplice. Sono stancamente importanti per uno sguardo alla pensione e alla ricostruzione della carriera oppure per la solita lotta sui trenta euro in più nel rinnovo del contratto.
E che dire dei docenti? Ai docenti, cervelli sfruttati a basso costo e utile massa di annacquamento dei problemi sociali, viene chiesto tutto. Il docente italiano di oggi deve essere: assistente sociale, psicologo, competente digitale, argine a genitori sempre più polemici e soprattutto bravo a sopportare un sistema che non riconosce ruoli, merito, spirito di servizio, essendo l’ultima sacca di socialismo reale esistente in Europa.
Il sistema scolastico, ormai complesso, prevede, infatti, solo funzioni strumentali e non ruoli ben definiti o incentivati ad affrontare la complessità educativa a tutto tondo. Perciò la parola di un docente con esperienza su temi decisivi ha lo stesso valore di chi entra nella scuola da poco. Il cambiamento in atto, poi, lo si sente nelle aule docenti o nei corridoi. A inizio anni Novanta un docente veniva ancora stimato per la competenza disciplinare e non era infrequente sentire dotte e belle conversazioni tra colleghi, che continuavano a studiare e ad aggiornarsi. Negli ultimi anni la domanda ricorrente è: “Come funziona quell’applicazione sul registro elettronico? Chi mi può aiutare? Come si usa Drive?”. Oppure si può sentire l’esortazione: “Cerchiamo di essere coesi per prevenire le polemiche o evitare le critiche per la nota disciplinare assegnata”.
Insomma, di fronte ai cambiamenti in atto nella nostra società, dovuti alla confusione e al nichilismo, è urgente rimettere al centro la questione educativa. La domanda educativa risulta puntualmente censurata o oscurata di volta in volta da argomenti ritenuti più importanti: banchi monoposto a rotelle, nuovi concorsi e assunzioni, pletora di circolari ministeriali su nuove Giornate nazionali o mondiali da celebrare, nuovi acronimi impronunciabili (P.F.P. da non confondere con P.D.P.), misure anti-Covid, pur necessarie eccetera eccetera.
Insomma, “tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta” (Rilke). Ma la scuola non è solo questione di interesse nazionale o di maggioranza: no, ha a che fare con la vita di tanti io. Riguarda tutti ed è urgente.
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