Il mondo della scuola, dalle istituzioni ai collegi docenti, dai dipartimenti disciplinari ai consigli di classe, dai siti specializzati alle riviste scolastiche, non fa che interrogarsi su come svolgere al meglio la funzione educativa che chiunque insegni sente urgere in sé, nei confronti di questi nostri giovani, sempre più fragili e sempre più abbandonati dalle famiglie e da ogni forma di rapporto sociale e scambio generazionale.



Il disagio dei giovani è sotto gli occhi di tutti e allora giù a ideare forme nuove di scuola, perché “non possiamo chiudere gli occhi, il mondo cambia e dobbiamo cambiare anche noi. I giovani oggi chiedono altro e la scuola si deve adeguare”. Così la scuola è periodicamente invasa da ondate di mode pedagogico-didattiche, che durano il tempo che ci vuole a pronunciare i loro nomi, sempre più inglesi (peer to peer, dabate, flipped classroom, etc.), perché se sono in inglese sono sicuramente ok!



Ma la domanda decisiva è: a cosa sono mirate queste tecniche didattiche? Risposta facile: a sviluppare le competenze e conoscenze richieste dalle indicazioni ministeriali! Nuova domanda: queste competenze e conoscenze richieste dal ministero a cosa sono mirate? Cosa si prefiggono di ottenere? Risposta facilissima: un cittadino modello, che viva responsabilmente nella società. E allora via con i corsi sulla legalità, sull’inclusività, sull’ambiente, sulla sesso-affettività, sul femminicidio, sul cyberbullismo, sul bodyshaming, sul global warming e chi più d’inglese ne sa, più ne metta.



Ma io insegno letteratura italiana. Come posso io, che non ho fatto il corso per docente tutor, che non mi sono aggiornato sulle tematiche gender, che non ho partecipato al Friday for Future; come posso io, misero insegnante di letteratura italiana, educare un giovane ad essere un cittadino modello? Infatti, non posso… e nemmeno lo voglio!

Giovanni Pascoli, autore che incontreremo quest’anno per la XXIII edizione dei Colloqui Fiorentini, con il titolo “C’è una voce nella mia vita…”, nel lontano e poco inclusivo 1897 scrisse un saggio sulla poesia intitolato Il fanciullino, in cui, al capitolo IX parla di Virgilio e dice una cosa che, ad ascoltarla bene, è la vera grande rivoluzione della scuola e della pedagogia.

Pascoli dice, molto semplicemente, che l’uomo Virgilio considerava la schiavitù una realtà ovvia, scontata, indiscutibile, proprio come tutti gli uomini del suo tempo. Ma poi aggiunge che nella sua poesia (Bucoliche, Georgiche ed Eneide) la schiavitù non esiste: “Oh! Sì! Non ci sono schiavi per Virgilio. Nei suoi poemi non c’è mai nemmeno la parola servus”. Cioè, quando Virgilio vive normalmente la sua vita, dà per scontata la schiavitù, ma quando scrive poesia, questa scompare. E ciò fa commentare a Pascoli: “Per questo non Virgilio proprio, ma il fanciullino che egli aveva in cuore, non voleva gli schiavi nei campi. […] Egli stesso ne era forse inconsapevole, di questa libertà che proclamava. Era la sua poesia che aboliva la servitù, perché la servitù non era poetica. Non era poetica, e il divino fanciullo che non vede se non ciò che è poetico, non la vedeva”.

Booom! E qui viene giù tutto il castello di teorie pedagog-educativ-didattiche! In sostanza quello che Pascoli sta dicendo è che l’uomo che ascolta la voce della poesia (il fanciullino), cioè l’esperienza artistica che permette all’uomo di fare i conti con la sua vera natura, non può neanche concepire la schiavitù. Che poi è esattamente quello che fece san Paolo: non si preoccupò di fare ai cristiani un corso di educazione civica, proclamando i diritti dell’uomo, ma soprattutto della donna! Non si batté per abolire la schiavitù! Rimandò lo schiavo fuggitivo Onesimo al suo padrone cristiano Filemone, dicendogli: questo è tuo fratello in Cristo. Non gli fa una predica morale, gli fa vedere un’altra cosa, un altro livello dell’esistenza, per cui il problema della schiavitù scompare da sé (come infatti è scomparso, e solo nella cultura occidentale cristiana).

Così nella scuola, anziché riempirci di educazioni (plurale), occorre vivere un’esperienza di educazione della persona e questo non si fa con i discorsi e le prediche o sbandierando dei diritti. Questo si fa aprendo un libro di poesia e ascoltando le parole di un autore. E uno ha la possibilità di scoprire se stesso, secondo dimensioni e profondità inimmaginabili prima. È il risveglio della propria umanità.

Ho iniziato a far leggere ai miei studenti le poesie di Pascoli per preparare i Colloqui Fiorentini, ed ho chiesto loro di scegliere quella che li aveva colpiti di più e di farci un tema. Due ragazze in particolare mi hanno colpito. Una ha scelto la poesia Il cane, in cui davanti a Pascoli passa un carro, tirato lentamente da un cavallo, ed un cane gli corre dietro, ma inutilmente: il carro passa via ed il cane se ne torna indietro con la coda fra le gambe. Lei commenta così: “La vita è proprio come quel carro che prosegue la sua strada, senza di noi; nulla attende il nostro arrivo e nulla dipende dalla nostra esistenza. Il mondo e la storia rimangono indifferenti alla singola vita di ognuno, proprio come il cane che nonostante tutto prova a raggiungerlo (il carro) e a farsi notare, ma ciò è vano. Allora io mi chiedo se vale davvero la pena esserci”. È la domanda di un cuore ardente, che cerca qualcuno che “attenda il nostro arrivo”, che non rimanga indifferente, altrimenti avrebbe ragione Pavese: non valeva la pena nascere. Ma chi sfida i ragazzi a questo livello nella scuola? Chi provoca la loro umanità in modo così leale e radicale? Chi li prende così sul serio?

L’altra ragazza ha scelto la poesia Allora, in cui Pascoli parla della felicità, vissuta per un attimo, nel passato ormai perduto, e della dolcezza che ancora giunge a lui da quella lontana felicità. E lei scrive: “Osserviamo quotidianamente il mondo attorno a noi in attesa di un segnale, odoriamo i profumi che esso ci offre, in attesa di un cambiamento, amiamo ogni cosa che sia a noi concessa amare, in attesa di uno sguardo ricambiato di cui essere degni. E per l’eternità continueremo a svolgere queste piccole, sciocche azioni, attendendo con animo fiducioso che ci portino quella rara dolcezza che assaporeremo felici”.

Si capisce cosa c’entra la letteratura con l’educazione? Semplicemente stando in classe a leggere le poesie di Pascoli…

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI