In un suo articolo uscito sul Sussidiario, Giorgio Chiosso ha affrontato il tema del peso di alcune ipotesi educative sulle decisioni per la riapertura delle scuole. Mi chiedo di quali esperienze significative fatte in questi ultimi mesi di pandemia possiamo tenere conto. La prima risposta è che abbiamo dovuto affrontare un imprevisto che non ci molla, anche se lo credevamo impossibile. Credevamo di guidare quello che accade ma non era così, si pensava che se qualcosa va “male” ci dovesse essere un colpevole da smascherare, e invece la realtà ci si manifesta in modo autonomo. I tentativi di migliorare la realtà che ci circonda non sono da condannare, ma non possiamo scandalizzarci di non arrivare a costruire il Bene massimo, assoluto. Il Papa ci ha indicato che il mondo è pieno di “scarti”, non oggetti ma esseri umani, prodotti dal nostro modo di vivere. Lui ce lo mostra, ma noi abbiamo occhiali che selezionano ciò che accettiamo di vedere da ciò che rifiutiamo.



Ci aspettiamo che la scuola renda buoni, saggi, attivi i nostri figli, ma del loro cuore forse non ci interessiamo abbastanza. Chiosso dice che l’educazione può avere uno scopo umanizzante, quindi implicitamente afferma che quel piccolo bambino appena nato può crescere non solo nel corpo ma anche nel suo essere “uomo”. Non è solo vivo, è “uomo” e può diventare sempre più uomo, ci dà così una definizione implicita di educazione.



Questo mi tocca come ex insegnante. Mi chiedo ancora, come nel passato, se nel mio insegnare si costruiva un “rapporto educativo” con gli allievi, volto non solo al pensiero matematico ma al vivere. Mi chiedo anche se la mia vita quotidiana poteva cambiare il mio modo di comprendere e insegnare i contenuti, facilitando l’emergere di un significato. La matematica è utile, lo pensiamo in molti, quella del Politecnico (dove ero) è utilissima, ma è una passione del cuore in vista del capire la realtà o è solo frutto di intelligenza tecnica, affrontata in vista di un lavoro? La scoperta di vivere in me l’unità di cuore e mente mi ha permesso di iniziare a vedere negli allievi la necessità della stessa unità. 



Mi sono dilungata per rendere credibile un’affermazione, ossia che l’educazione a scuola è legata al rapporto vivo, effettivo, con un insegnante che attraverso la sua esperienza faccia vivere i contenuti con un significato. Sono d’accordo con la necessità per i bambini di una didattica (anche solo parziale) in presenza, per poter entrare in rapporto con gli insegnanti durante il percorso di lavoro e non solo alla fine. Questo è vero quanto più sono piccoli i bambini: la didattica a distanza in prima e seconda primaria è solo un surrogato che si è presentato come via obbligata.

Una insegnante di scuola primaria di Lugano raccontando il ritorno a scuola (per i bambini di prima e seconda con la frequenza di 3 mattine settimanali e per le altre classi con la frequenza di 2 mattine settimanali) testimonia la felicità di tutti i bambini nel momento del ritorno. Questa soluzione richiede l’integrazione con alcune attività da svolgere “on line”. È chiaro che i contenuti vanno diminuiti per tutti e questa è una buona occasione per rivedere cosa sia veramente essenziale.

Esperienze di questo tipo già attuate vanno diffuse e conosciute. Occorre anche proteggere un modo nuovo di imparare, sperimentato da alcuni insegnanti, che a ciascun allievo danno la possibilità di essere protagonista, insieme all’insegnante e ai compagni, del proprio apprendimento. Inoltre, è auspicabile che gli studenti non siano valutati solo per l’esito del lavoro, ma anche per il percorso che hanno seguito. Ho suggerito ad alcuni insegnanti di chiedere agli allievi di giustificare con brevi parole le loro scelte, abbiamo visto rispondere positivamente soprattutto i bambini della primaria. Il metodo di studio va appreso il prima possibile.

Mons. Sanguineti (vescovo di Pavia) ha scritto una lettera aperta (vedi Sussidiario) al ministro Azzolina. Afferma che nulla può sostituire le lezioni in classe, l’esperienza di andare a scuola, stabilendo rapporti con i compagni e con i docenti. Afferma inoltre che a scuola si costruisce il volto di una nazione pluralista, libera, capace di promuovere il pensiero, l’ingegno e le risorse dei suoi cittadini. Osserva che la scuola paritaria è parte rilevante della scuola italiana, pur se il governo si è sempre mostrato poco attento alla sua esistenza. Evidenzia il rischio di deprimere un patrimonio rilevante di educazione, di offendere il diritto di esercitare la libertà educativa propria dei genitori, di rischiare un grave danno economico per la nazione, se la scuola paritaria morisse e termina con queste parole: “Come pastore nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Come insegnante, madre e nonna lo ringrazio.