Nel silenzio e nell’indifferenza si sta abbattendo sulla scuola paritaria un previsto nuovo tsunami.

Mi riferisco al nuovo “rastrellamento” di docenti che lo Stato opererà nei prossimi mesi estivi per coprire tutti i posti che rimarranno vacanti a causa anche del previsto prepensionamento di tutti i docenti che, sfruttando la nuova legge sulla quota 100, lasceranno il loro incarico e andranno in pensione, aggiungendosi a quelli già previsti per effetto della legge Fornero.



I dati numerici che i media hanno comunicato negli scorsi mesi sono stati altalenanti, ma tutti preoccupanti: da una previsione iniziale di 70mila fatta subito dopo la legge fino a quella spaventosa del Sole 24 Ore di 140mila cattedre vacanti fatta a fine marzo per giungere a quelle ufficiali, che al momento indica in 42mila i docenti che saranno collocati a riposo dal 1° settembre. Sono entità numeriche di base, comunque, superiori alle necessità dello scorso anno.



Un’emergenza di carattere generale, alla quale, ribadiscono i sindacati, “l’Amministrazione deve mettere mano per garantire continuità didattica e non avere troppi buchi di organico” poiché “è responsabilità del governo trovare una soluzione rapida: quota 100 accelera l’emergenza di vuoti nel mondo della scuola”.

Giustissima preoccupazione, ma nessuno parla, né si preoccupa, dei conseguenti problemi che ricadranno sulla scuola paritaria, come se non facesse parte del sistema pubblico d’istruzione, dimenticandosi ancora una volta della legge 62/2000, pur in vigore da quasi 20 anni. Questa è l’indifferenza e il silenzio sopra citato.



Le massicce operazioni di reclutamento e immissioni in ruolo iniziate con il governo Renzi allo scopo, non riuscito, di eliminare il precariato e proseguite fino alle 52mila assunzioni dello scorso anno, avviate addirittura a fine agosto, hanno, di fatto, tolto dal mercato del lavoro la presenza di docenti abilitati, mettendo in grandi difficoltà le scuole paritarie per la ricerca del personale qualificato utile a coprire i posti rimasti vacanti e garantire un servizio di qualità.

Un convegno sul tema “Abilità o abilitazione? Insegnare nella scuola di domani”, organizzato da Aninsei a fine marzo, con lo scopo di attirare l’attenzione sul tema e nella speranza potesse produrre un avvio di azioni politiche utili, è salito agli onori della cronaca solo per una settimana, poi è tornato il silenzio.

Ad oggi non vi è nessuna iniziativa utile a tamponare la situazione, né è all’ordine del giorno del ministero per occuparsene istituzionalmente. Uniche comunicazioni: abolizione del Fit e avviamento di un concorso per 70mila assunzioni in conseguenza del quale i non vincitori potranno essere comunque abilitati. Tempistica: metà anno 2020! Fino ad allora avremo una situazione sempre più critica anche a causa delle nuove assunzioni, inevitabili per non fermare il servizio nella scuola statale, per il prossimo anno.

L’unica buona notizia viene dalla magistratura, visto che il Tribunale di Roma con sentenza del 22 marzo 2019 ha stabilito che l’abilitazione all’insegnamento può essere considerata valida con la laurea magistrale ed i 24 Cfu. Potrebbe essere una svolta importante, ma si dovrà attendere, come sempre, l’eventuale ricorso del ministero e l’esito, ossia tempi comunque lunghi.

Come mia consuetudine non mi esimo dall’esprimere una mia opinione sulle possibili soluzioni.

La più rapida sarebbe la rinuncia da parte del ministero a ricorrere contro la sentenza del Tribunale di Roma ed avviare la procedura istituzionale per riconoscere formalmente che laurea magistrale più i 24 Cfu sono la “nuova abilitazione” (come fu per le Ssis, Tfa, Pas…) con tutti gli effetti collaterali, compresa la possibilità di poter assumere a tempo indeterminato chi è in questa situazione di qualifica professionale, oggi negata negli stessi Ccnl e dal ministero in caso di ispezioni, poiché si consente il tempo indeterminato solo se in possesso dell’“abilitazione”, secondo i canoni tradizionali.

Un ammortizzatore utile sarebbe il concedere ai docenti cui è offerta l’assunzione nello Stato di poter accettare di diritto, ma permettere di slittare di un anno l’immissione in ruolo senza perdere diritti e senza pressioni, com’è avvenuto nel passato, ma non nell’ultima tornata di assunzioni.

Rendere effettiva la decisione di tenere il 31 luglio (in prospettiva sarebbe ottimo il 30 giugno) come termine ultimo per la chiamata da parte dello Stato permetterebbe alle scuole statali di avviare il nuovo anno per tempo e alle scuole paritarie di avere un tempo “decente” per le necessarie sostituzioni di chi sceglie lo Stato.

Ritengo che la strada del riconoscimento della sentenza del Tribunale di Roma sia la migliore da tutti i punti di vista: per rapidità, semplicità, applicazione, immediata disponibilità di docenti, regolarizzazioni di quelli già in servizio, ma si può anche pensare di riprendere l’ipotesi del Fit per le scuole paritarie già previsto dalla legge 107/2015, rivisto ed aggiornato, in accordo con le associazioni di settore, secondo il quale una scuola poteva assumere un docente non abilitato a tempo determinato, far seguire una scuola di specializzazione al termine della quale con specializzazione acquisita e giudizio positivo del tirocinio svolto nella scuola, il contratto poteva essere trasformato a tempo indeterminato.

Il dibattito riacceso da questa emergenza evidenzia ancora una volta che la soluzione migliore rimane quella avviata dal ministro Profumo, ossia la separazione tra possibilità di abilitazione (aperta a tutti) e operazioni legate al reclutamento nello Stato fatte per concorso (come prevede l’art. 97 della Costituzione) aperto solo agli abilitati. Il riconoscimento e conseguente formalizzazione della sentenza o un nuovo Fit per le paritarie permetterebbero di avere sempre, sul mercato del lavoro, docenti con regolare qualifica, evitando di attendere sempre un concorso per provvedere anche all’abilitazione.

Concludo con un auspicio: il ministero decida in fretta, poiché settembre è alle porte e le scuole vorrebbero bene organizzare l’inizio del nuovo anno nell’interesse degli studenti e delle famiglie. Aggiungo una speranza: che si cominci ad emanare norme di sistema che tengano conto della presenza della scuola paritaria e delle sue necessità.