Si ricomincia l’anno scolastico in affanno, con linee guida poco chiare e soprattutto nell’assenza di una vera visione sulla scuola da parte della società e delle istituzioni.
Quando riapriranno le aule, tra pochi giorni, avremo sui banchi di scuola ragazzi che dopo un anno e mezzo di pandemia e di Dad ne mostreranno le conseguenze: molti saranno “de-scolarizzati”, poco propensi allo studio e alla fatica da mettere in conto per raggiungere una meritata promozione. Sarà la sfida di quest’anno.
In fondo dovrebbe essere sempre così: cercare di ridare e ridire il senso di fare scuola, di farla insieme, docenti, studenti e famiglie. Per questo occorre tenere unite “idealità” con azioni concrete e ragionevoli, cioè cariche di ragioni adeguate.
Due episodi mi hanno colpito alla vigilia del nuovo anno.
In un incontro docenti viene proiettato il video “La Moldava 1960”, la registrazione delle prove dell’esecuzione del famoso brano di Smetana da parte del maestro Ferenc Fricsay. Nel video il direttore insiste e corregge l’orchestra su particolari di tecnica musicale e di senso, rendendo affascinante tutta l’ora del filmato. Fricsay, già gravemente malato, in un passaggio esprime in modo commovente la sua immedesimazione con l’opera esclamando “Sì, com’è bello vivere!”.
Al termine della visione un docente interviene: “Bellissimo, però noi non abbiamo a che fare con adulti professionisti e motivati (i musicisti), ma con ragazzi che non hanno voglia di ascoltare e imparare… A lezione è ben diverso”.
Ma l’aiuto che può darci Fricsay non è anzitutto nella “tecnica” di far lezione in classe, ma nella cura e nell’attenzione ad ogni particolare che nasce da una passione ideale che si incarna nel lavoro quotidiano. Per il docente è allora prima la preparazione della propria lezione, poi la relazione con gli alunni.
Il secondo episodio nasce dal racconto di un collega riguardo un colloquio avuto con un ex allievo che ha subìto da poche settimane una grave menomazione fisica a causa di un incidente. Nel dialogo emerge nel ragazzo, da sempre uno sportivo, quasi l’entusiasmo nel volersi misurare con il percorso riabilitativo che lo aspetta e la possibilità di tornare a correre con protesi per le gambe. Un atteggiamento che stupisce per primo il docente, che scopre nel giovane una forza e una decisione inaspettate.
I due episodi sono facce di una stessa medaglia: entrambi ci dicono che l’uomo è mosso dalla voglia di vivere, dal desiderio di felicità; e accorgersi e impegnarsi con esso, dentro un’ipotesi di risposta positiva, accade proprio quando tutto sembra andare contro, come se il limite non potesse bloccare, ma addirittura accentuare questo anelito al tutto. Tale accadimento di consapevolezza può nascere altresì grazie alla compagnia di un “maestro” che la richiama non tanto a parole, ma testimoniandola nell’affrontare il concreto quotidiano della propria vita.
Quando l’orchestra, dopo le prove, esegue il brano della Moldava agli spettatori non viene riportato nulla dei pur bellissimi commenti e richiami del direttore d’orchestra posti durante le prove, ma l’eco di questi, in qualche modo, ne pervade la musica che viene loro offerta. In fondo questa è l’educazione: accompagnare ed essere accompagnati in questa scoperta del desiderio della ricerca di senso e di felicità che attraversa anche il proprio limite.
Occorre che nella scuola si possa tornare a discutere di didattica e del senso di quello che si insegna; continuare a intraprendere strade nuove per l’insegnamento in aula e tornare a parlare di valutazione e merito; creare sempre più reti tra insegnanti e scuole per un confronto costruttivo tra le diverse esperienze.
Tutto questo è scuola, pur dentro i limiti e le contraddizioni che stiamo vivendo in questi mesi e che sarà comunque giusto tentare di superare anche, dove necessario, alzando la voce.
Se continuano a esserci donne e uomini così, la scuola esiste per davvero, per i nostri ragazzi non possiamo mollare.
E allora, buon inizio.
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