Potrà la scuola di domani, che comincia a essere costruita oggi, fondere le due dimensioni della necessaria cultura umanistica e della realtà aumentata così come configurata dalla digitalizzazione della didattica? Se n’è discusso, tra le tante altre cose, alla recente Convention dell’associazione professionale di insegnanti Diesse, vecchia (è nata nel 1987) ma sempre rinnovata presenza tra i docenti delle scuole italiane con le sue proposte e iniziative.
Per rispondere e riprendere i vari spunti emersi nelle due giornate di lavoro (26-27 ottobre) occorre prima intendersi sul significato dei termini: umanesimo nella cultura pedagogica e realtà aumentata. Umanesimo non vuol dire solo riesumazione dell’articolazione di gentiliana memoria tra discipline fondamentali (letteratura, storia, arte, religione, filosofia) e discipline meno pertinenti la formazione dell’alunno (matematica, economia, lingue tranne il latino, scienze, educazione fisica), concepita in ossequio alla prevalenza del soggetto (identità di maestro e alunno) rispetto all’oggetto.
Non si tratta di riesumare il passato, benché tale passato, contestato dal Sessantotto, abbia prodotto anche buoni risultati, e cioè quella tipologia di adulto capace di muoversi nella realtà in modo razionale perché dotato, grazie alla formazione liceale, di una particolare sensibilità per la sintesi dei dati e dei contenuti appresi. Per umanesimo si dovrebbe intendere oggi l’attenzione per la radice greco-ebraico-cristiana da cui è nato l’alveo entro cui si possono collocare le discipline e le attività che si svolgono tra le mura scolastiche. Umanesimo come chiave interpretativa del reale che prima di essere frammentato è unito originariamente.
Dunque se è unito o unificato il reale, così dovrebbe essere anche per le materie scolastiche, alla cui base si ritrova sempre, a vedere bene, una sorgente umanistica, posta e fatta per l’uomo e non solo “fabbricata” dall’uomo. La nostra scuola, è stato detto (Massimo Borghesi), conserva ancora un filone umanistico, inteso nel modo specificato, anche se tale apertura è sempre sul punto di scomparire, minacciata da una scomposizione del reale che la scuola opera, impegnata com’è da diversi anni nella “relativizzazione” dei materiali didattici per cui, l’uno vale l’altro, e il particolare vale più dell’universale.
L’altro termine proposto durante i lavori congressuali è “realtà aumentata” (da non confondere con “realtà virtuale”), che si pone come orizzonte della didattica, non solo come possibilità di variazione della classica lezione frontale, ma anche come frontiera di un nuovo modo di insegnare attraverso la strumentazione digitale. La realtà virtuale (VR) è un ambiente inventato dalla tecnologia informatica, mentre quella aumentata (AR) potenzia l’esperienza del rapporto con la realtà, qualunque essa sia, attraverso il mezzo tecnologico (smartphone, tablet, ecc.). La realtà aumentata, potremmo dire in estrema sintesi, avvicina alla realtà mostrandocela in più modi contemporaneamente e per diversi gradi di apprendimento (Maria Paola Puggioni).
Un paesaggio, un luogo, un oggetto appaiono attraverso AR da più lati e secondo ottiche diverse (storica, artistica, linguistica) nello stesso tempo. AR è l’interdisciplinarità non solo predicata e suggerita, ma resa evidente e perciò anche valutabile. È un dato di fatto che l’ambiente di apprendimento, se è concepito come spazio di incontro tra alunni e insegnanti (meno banchi e cattedre buttate alla rinfusa ma pensati in modo integrato con le persone che vivono dentro le aule), favorisce l’insegnamento e l’apprendimento (Annarita Silenzi). Perciò permettere entro certe condizioni la fruibilità delle tecnologie entro ambiti rigenerati significa anche risvegliare interesse e partecipazione negli alunni, anche nei più apparentemente abulici e lontani.
Ma quali condizioni, appunto, possono permettere la migliore assimilazione delle conoscenze? Non basta evidentemente costruire uno spazio adattato, per avere una umanità migliore. Si ricadrebbe, se lo pensassimo, nel materialismo costruttivista. È sempre la relazione che si realizza tra persone che è veicolo di comunicazione (Nicoletta Sanese), perché nella relazione si attua quel travaso di umanità che accende nell’allievo la fiducia in sé stesso.
Attraverso la relazione stabilita tra insegnante e alunno (e tra insegnante e famiglia) transitano quei significati delle cose e delle situazioni che altrimenti, se codificati in regole e dottrina, assumerebbero una funzione estraniante. E si torna con ciò all’interrogativo iniziale sulla possibilità di incontro tra umanesimo e tecnologia. È possibile questa connessione se la scuola è capace di ospitare la vita (Marcello Tempesta) e se è luogo di educazione orientata a uno scopo.
Nella misura in cui i contesti entro cui si collocano le istituzioni educative stanno cambiando (guerre in atto, migrazioni di popoli, nuove tecnologie) si tratta appunto di ripensare il percorso scolastico non tanto aggiungendo contenuti o stravolgendo ancor più la figura del docente (sempre più tutor e sempre meno insegnante), ma collocando le novità apportate dalla rivoluzione informatico-tecnologica entro l’orizzonte interpretativo del giudizio illuminato dalla sapienza umanistica. Dunque, tutti al lavoro verso una meta davvero entusiasmante!
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