In questi giorni sembrano arrivare buone notizie sul tema della sistemazione dei docenti che da anni attendono la possibilità di acquisire l’abilitazione all’insegnamento. Una regolarizzazione che potrà loro permettere, dopo anni di precariato, con contratti solo a tempo determinato, in tutte le scuole del sistema, sia statali sia paritarie, di poter avere un’assunzione in ruolo nelle scuole di Stato o un contratto a tempo indeterminato nelle scuole paritarie.



Quando è uscito il primo testo del “decreto scuola” siamo rimasti tutti senza parole, costernati e quasi convinti che non ci fossero chances di ottenere un cambiamento che eliminasse le nuove discriminazioni nei confronti dei docenti delle scuole paritarie e delle stesse scuole paritarie.

Discriminazioni che si subiscono da anni come se si facesse parte solo formalmente e non a pieno titolo dell’unico sistema nazionale, come sancito dalla legge 62/2000. L’aspetto più grave è che questo avviene spesso con la pubblicazione di norme in contrasto con la legge di parità, come se si volesse tenere il settore paritario in una situazione costantemente subalterna alla scuola statale e non di pari dignità, come dovrebbe essere. Sotto l’egida dello slogan sportivo “non mollare mai”, si è avuta la reazione e si è andati all’attacco facendo rilevare al Governo e a tutto il mondo politico le inaccettabili incongruenze.



Ritengo che senza il prezioso “assist” del presidente Mattarella che ha negato la sua firma, per la pubblicazione del decreto, perché discriminante verso i precari delle paritarie, difficilmente saremmo arrivati ad ottenere le correzioni richieste. Le modifiche apportate hanno reso “accettabile” il testo presentato in Parlamento per l’iter di approvazione. Grande Presidente!

Bisogna riconoscere che il testo iniziale aveva una sua coerenza. Lo Stato, nella versione “datore di lavoro” ha messo in essere un’encomiabile azione tendente a dare stabilità lavorativa ai suoi dipendenti che da anni, quali precari, lavoravano sempre come supplenti, senza stabilità contrattuale.



Purtroppo, ci si è dimenticati che dall’anno 2000 la legge ha stabilito che pubblico non significa statale, ma anche paritario e che non ci si dovrebbe più dimenticare dei docenti che vi insegnano e delle scuole paritarie stesse, ma legiferare considerandole in pari dignità.

Devo riconoscere che alcuni politici di maggioranza hanno subito compreso l’iniquità della situazione e, sulla pressione anche di politici di opposizione si è lavorato per superare la grave discriminazione prevista nel testo proposto.

Una prima proposta che sembrava potesse essere di facile recepimento era quella di dare accesso al concorso anche ai docenti che hanno svolto tre anni di servizio nelle scuole paritarie. Questa modifica si scontrava con l’obiettivo dello Stato “datore di lavoro” di regolarizzare solo i propri dipendenti e con il fatto che, per come era strutturato il decreto, tutti i docenti che ambivano ad ottenere l’abilitazione, vincitori o meno del concorso, per ottenerla avrebbero dovuto lasciare la scuola paritaria. Una conseguenza inaccettabile.

Questa conseguenza derivava da quanto previsto dai commi 8c) e 8f) dell’articolo 1 del decreto, ossia che ai docenti che non sarebbero entrati nella graduatoria dei vincitori del concorso, ma avessero superato la prova con una valutazione di 7 decimi, sarebbe stato consentito di conseguire l’abilitazione, ma con un vincolo inaccettabile, ossia che “abbiano in essere un contratto di docenza a tempo determinato di durata annuale o fino al termine delle attività didattiche presso una istituzione scolastica o educativa statale”. Di fatto: ti puoi abilitare solo se insegni o insegnerai in una scuola statale.

Il ripensamento c’è stato, pur incastonato in una norma strettamente statale, e nel nuovo testo il comma 7 dell’articolo 1 apre la partecipazione alla procedura ai docenti che hanno prestato servizio nelle scuole paritarie, limitandola solo ai fini del conseguimento dell’abilitazione, in coerenza con il ricordato obiettivo principale del decreto, ossia l’assunzione dei soli precari della scuola statale. Inoltre, la modifica e integrazione delle condizioni per il conseguimento dell’abilitazione, indicate all’art. 1 g) numeri 2 e 3, sana la precedente condizione inaccettabile sopra descritta prevedendo, giustamente, una prova orale per il conseguimento dell’abilitazione, gestita da un’apposita commissione.

Le associazioni hanno espresso soddisfazione, cui mi associo, per questo ripensamento, auspicando sia che le procedure siano bandite entro l’anno, sia che si garantisca, con urgenza, un sistema di idoneità/abilitazione aperto ai docenti con meno di tre annualità di servizio, oltre ai neolaureati.

A queste richieste aggiungo due auspici personali: che il sistema di idoneità/abilitazione sia stabile, recependo la separazione tra l’istituto giuridico che permette l’acquisizione dell’abilitazione all’insegnamento e i concorsi per l’assunzione in ruolo da parte dello Stato, come già previsto, ad esempio, durante il ministero Profumo. Questo permetterebbe la costante presenza sul mercato del lavoro di docenti con i titoli adeguati per la professione docente, a vantaggio dei giovani docenti, della scuola statale e della scuola paritaria per il completamento dei loro organici prima dell’avvio dell’anno scolastico.

Il secondo è di natura culturale politica e si riferisce alla richiesta che la futura legislazione recepisca a distanza di 20 anni l’esistenza della legge 62/2000 e che sia sempre orientata a tenere in considerazione il sistema nel suo insieme e non più, come è avvenuto in questo caso, la sola scuola statale. Si potrebbe cominciare da subito: fermi restando gli accordi raggiunti sui punti e gli obiettivi principali dichiarati, si potrebbe riscrivere in questa ottica il decreto in discussione.