Il focus della ricerca educativa è stato nell’ultimo decennio l’equità. Dopo la garanzia dell’accesso universale ai livelli di base dell’istruzione si è ricercata la possibilità che tutti, indipendentemente dal loro status socio-economico di partenza, possano accedere ai livelli coerenti con le loro potenzialità. Due le ragioni: la crescente sensibilità per i diritti della persona dovuta al miglioramento economico e sociale dei Paesi in cui essa si è incrementata, ma  anche la necessità di sviluppare competenze sempre più raffinate da parte di tutti i potenziali portatori.



Negli ultimi anni è stato anche molto utilizzato il termine resiliente per indicare gli allievi che, pur appartenendo ad uno status economico-sociale Escs basso, raggiungono i livelli più alti di competenza: in Pisa ad esempio il 5 e 6. La resilienza dunque come ponte fra eccellenza ed equità.

Ma oggi, per diverse cause, fra le quali forse anche quella che l’Occidente sta accorgendosi che non può più riposare sugli allori ed occuparsi solo della redistribuzione del benessere e delle opportunità, qualche interesse comincia a manifestarsi anche per quelli che vengono definiti gifted, termine che potremmo tradurre con “dotati”.



È del dicembre scorso l’uscita di un working paper di Oecd: Policy approaches and initiatives for the inclusion of gifted students in Oecd countries, a cura di Alexandre Rutigliano e Nikita Quarshie. Ove desta interesse l’uso del termine “inclusione”, che generalmente viene utilizzato per i livelli bassi e che indica una marginalità del tema gifted dal mainstream del pensiero pedagogico. Il primo obiettivo dichiarato del lavoro è quello di dare una definizione del termine che possa raccogliere il consenso generale, sulla base di una rassegna della letteratura accademica nel merito, ma ci si propone  anche una rassegna delle politiche nel merito da parte dei decisori di tutti i livelli. Sarà interessante capire a quali conclusioni arriva un lavoro di fonte così autorevole.



E l’Italia? La nostra Costituzione non aveva aspettato l’Oecd per dire che i “capaci e meritevoli” dovevano essere sostenuti. Il problema sta nel fatto che il mondo della scuola italiano, a partire dai pedagogisti, non si è mai davvero convinto di questa necessità, così come non si preoccupa del basso numero di eccellenze italiane che le indagini nazionali ed internazionali costantemente evidenziano. Anzi, da molte parti ci si è rallegrati del fatto che l’Italia sia un Paese in cui lo iato fra il livello più alto e quello più basso è inferiore a quello della media Oecd, non tenendo in conto che ciò deriva principalmente dalla scarsità relativa delle nostre eccellenze.

Nella sintesi dei risultati italiani di Oecd Pisa 2018 si trova un’osservazione assolutamente in linea con quelle delle edizioni precedenti: “Se ci concentriamo sui livelli più elevati della scala, quelli che permettono di definire uno studente top performer (i livelli 5 e 6), il 5% degli studenti italiani raggiunge questi livelli. A livello medio internazionale tale percentuale è di circa il 9%”. Come per gli altri dati, i risultati medi italiani sono trascinati in basso da quelli del Sud. Ma ad un’analisi approfondita risulta costante il fatto che anche nel Nord, che esprime i migliori risultati, gli studenti con più alto Escs e livelli Pisa 5 e 6 sono comunque in un numero inferiore a quello dei coetanei europei di pari status.

Coerentemente con questa impostazione, che cerca l’eguaglianza in basso, al tema della resilienza viene dedicata scarsa se non nulla attenzione.

Ha fatto in questi anni eccezione Gli studenti eccellenti nella scuola italiana. Opinioni dei docenti e performance degli alunni, di Paolo Barabanti (Franco Angeli, 2018). Sulla base dei dati relativi ai risultati degli studenti top performer nella rilevazione Invalsi 2014-15 (è passato del tempo ma c’è da dire che i dati in proposito sono sempre molto stabili), l’autore conclude con alcune considerazioni. “Si conferma positivo l’indice Escs sui risultati degli studenti top performer; questi studenti si caratterizzano, inoltre, per la loro motivazione, il piacere nello studio e la consapevolezza di un’autostima molto elevata. La tendenza dei risultati ottenuti nelle indagini internazionali e in quella nazionale delle precedenti edizioni si evidenzia anche in questo studio: i top performer si concentrano principalmente nelle regioni del Nord Italia. Ma gli studenti svantaggiati sono in grado, se viene data loro l’opportunità di farlo, di sconfiggere le condizioni avverse e questo comporta l’offrire a questi studenti eque opportunità di apprendimento e promuovere la loro motivazione e sicurezza di sé in modo da realizzare il loro potenziale. Le scuole dovrebbero giocare un ruolo importante nel promuovere la resilienza, ma i dati di questo lavoro non mostrano una buona riuscita dei percorsi scolastici italiani. Con l’eccezione però dell’istituto tecnico; esso sembra, infatti, offrire effettive possibilità anche a quegli studenti che, fuori dal contesto scolastico, non possiedono i supporti giusti per migliorare le loro performance”.

In conclusione, finora l’attenzione della pubblicistica sulla scuola, oltre che della scuola stessa – in particolare in Italia – si è appuntata quasi esclusivamente sui livelli bassi di competenza, ma forse è tempo di iniziare ad occuparsi anche di riconoscere, supportare ed incrementare i livelli alti. Le due cose non sono necessariamente in contraddizione.

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