Il contesto in cui viviamo sia dentro sia fuori le aule scolastiche ci fa quotidianamente incontrare la sofferenza dei giovani: la tentazione del ritiro sociale, le dipendenze, una sempre sottesa aggressività che spesso sfocia in liti violente.
Conviviamo con la percezione diffusa di un malessere, che prende di volta in volta le sembianze dell’ansia, del disinteresse, della distrazione, forse perseguite per non stare troppo a contatto con una ferita aperta.
Manifestazioni diverse di dolore e di fatica più o meno consapevoli, che sono, se ben guardate, domande di una ricerca di senso, che qualcuno trova la forza e le parole per comunicare, come racconta in un articolo, “La terapia del grano”, Acqua Simi (Tracce, luglio-agosto 2023) riportando la narrazione di una terapeuta che lavora con giovani segnati da disagi profondi:
“Dietro ogni loro gesto c’è una ricerca di senso. Perché tutto questo dolore? Perché tutta questa fatica? Perché questo struggimento? Perché io? Alcuni arrivano a esplicitarlo: ‘Che senso ha la vita se non ho amici, se a scuola mi prendono in giro e nella mia famiglia litigano sempre?’
Tutto nasce da una solitudine. Sono sovra-esposti, ma sono soli. Vivono fin da piccoli una sorta di onnipotenza sulle cose a cui possono accedere, ma non c’è nessuno che li guidi e li protegga. Per cui si può passare dai video di cucina a quelli più volgari come se fosse tutto uguale. Ma non è tutto uguale. Per questo il punto è, innanzitutto, recuperare un rapporto e un dialogo di senso con i ragazzi”.
Spesso, anche nelle situazioni quotidiane, seppur non segnate da una drammaticità così pungente, sembra proprio così: per i ragazzi è tutto uguale, non c’è gradualità, non ci sono criteri per identificare priorità e preferenze, per esprimere giudizi di valore.
La scuola può fare qualcosa per rispondere a queste ferite?
Può cercare almeno di ridurre, verrebbe da dire, lo scollamento tra la vita personale e la sua proposta quotidiana, che è fatta di lezioni, di comunicazione di saperi, di relazioni.
Quali attenzioni potrebbe mettere in atto?
Non misconoscere innanzitutto la domanda, la ricerca di senso, di significato.
C’è un modo di introdurre al sapere che procede per accumuli e lontananza dall’esperienza: è quanto accade spesso con i curricoli delle diverse discipline, nei quali si faticano a cogliere le priorità e le domande metodologiche e di senso sottese allo statuto epistemologico della disciplina.
Le discipline sono strade per conoscere il reale, sono risorse preziose per aiutare la progressiva costruzione dell’identità personale.
Come è possibile, per fare solo qualche esempio, leggere Leopardi, Dante, Shakespeare e non imbattersi nella loro sete esistenziale, nelle loro domande sulla vita, sulla morte, sul dolore, sul senso degli affetti e delle relazioni? Tutto il sapere accademico, l’intero rigore storico e filologico sono sterili, se non vengono finalizzati all’approfondimento del bisogno di senso.
Come è possibile studiare filosofia senza percepire la ricerca filosofica come tentativo di rispondere a domande di senso che, nel corso del tempo, hanno investito e continuano a investire l’io, le relazioni e il cosmo?
Come ci ricordano anche le recenti Linee guida per le discipline STEM, non è possibile sottrarsi alla domanda sul senso e anche sull’utilità di quanto si studia: “Perché la matematica è così importante per la società attuale? La risposta più naturale, ma anche più banale, è che è utile. Questa risposta, però, è ingenerosa oltre che parziale. D’altra parte, sorprendentemente, la matematica è il linguaggio in cui è scritto il gran libro della natura. […] Grazie alla matematica, alla fisica e alle scienze sperimentali, l’uomo è stato capace di intervenire sull’ambiente che lo circonda. Tutta la tecnologia prodotta è figlia di questo azzardo, della scommessa che gli uomini non sono fatti ‘a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza’”.
Non si tratta di misconoscere o di ridurre il valore della ricerca intellettuale, anche dell’erudizione, ma di inserirli in un orizzonte di senso. Si può passare una vita intera a occuparsi di un frammento di papiro, a studiare un piccolo organismo vivente o qualsiasi altra cosa, ma solo con questo respiro, come molti uomini e donne del passato e del presente continuano a testimoniare.
La scuola può aiutare gradualmente gli studenti a comprendere, per tornare alle parole della terapeuta di cui si è scritto sopra, che non è tutto uguale, facendo esercitare il giudizio.
(1 – continua)
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