“Avvenne un giorno che un vento si alzasse alto a occidente, crescendo come un’onda di irragionevole felicità, e che poi, spingendosi a tutta velocità verso oriente, attraversasse tutta l’Inghilterra, trascinando con sé il profumo gelido delle foreste e l’ebbrezza fredda del mare. Nel passare con la stessa generosità di una brocca di vino, risvegliò gli uomini, che se ne stavano chiusi in milioni di buchi e di cantucci, sorprendendoli con la forza del suo soffio”.



Inizia così il romanzo Uomovivo, di G.K. Chesterton, ed è iniziata così la scuola. Dal 7 settembre, gradualmente, tutti gli studenti della Fondazione Grossman sono ritornati a scuola: hanno iniziato per primi i bambini della scuola dell’infanzia, e da ultimi sono arrivati i liceali. Assistendo a ogni ingresso, soffermandomi su ogni loro espressione, reazione, mossa, mi sono sentita travolta da un vento, un vento di “irragionevole felicità”, come dice Chesterton.



Fuor di metafora, che cos’è questo vento? Sostanzialmente un grande, profondo, vivo desiderio: desiderio di incontrarsi di nuovo, di conoscere, di capire, di scoprire che cosa la realtà – la realtà scolastica, la realtà tutta – ogni giorno offre di nuovo a ciascuno di noi.

Ho riconosciuto in molti sguardi lo sguardo del protagonista di Uomovivo, Innocent Smith, il quale arriva in un giorno ventoso in una pensione conosciuta con il nome di Casa Beacon, nella quale la vita trascorre abitudinaria: ci sono ospiti che vivono i loro drammi senza affrontarli, esistenze apparentemente inutili, insulse, e lui, con il suo modo di guardare le cose, con la sua “follia buona”, riesce a cogliere in ogni fatto la novità, il mistero a cui la realtà sensibile rimanda.



In tanti docenti e in tanti studenti ho colto uno sguardo capace di superare le barriere delle mascherine, delle distanze, delle nuove norme anti-contagio, della paura che in tanti alberga. Uno sguardo che guarda la realtà da un’altra prospettiva e rende nuove tutte le cose.

Significativo il cartoncino di benvenuto consegnato il primo giorno di scuola agli studenti delle prime liceo, che propone una frase tratta appunto da Uomovivo: “Sto tentando di dimenticare quello che conosco. E cerco di conoscere quello che non so”. Così risponde Innocent Smith, il protagonista, quando gli chiedono come mai per entrare in casa sua, si sia calato dal camino: l’intento era quello di riconquistare ciò che credeva già di conoscere, guardando le sue proprietà da un’altra prospettiva, quello di un ladro.

L’augurio che vorrei fare a tutti gli studenti e a tutti i docenti che hanno iniziato la scuola tra mille difficoltà e perplessità è di vivere tutto questo anno scolastico affacciandosi alla realtà con questo sguardo indagatore, curioso, disponibile a cogliere anche ciò che già sappiamo o che già crediamo di sapere, perché la realtà è talmente inesauribile, talmente misteriosa, che tutta la nostra ricerca, tutto il nostro impegno non esauriranno mai il suo segreto.

In tal senso è suggestiva anche l’immagine che accompagna la frase citata nel cartoncino di benvenuto dato ai ragazzi di prima liceo. Si tratta dell’opera Another place dell’artista inglese Antony Gormley: statue distanziate tra loro in riva al mare rivolte verso l’orizzonte. Uno sguardo che non si ferma alla riva, che punta all’orizzonte e cerca la profondità: non è la riva ad attrarre, ma la profondità, la prospettiva dell’oceano immenso. Anche quando il mare si fa grosso e tempestoso e la realtà diventa ostica, può non venire meno la certezza che abbiamo le risorse in noi e tra noi per affrontarla, perché in fondo la realtà è fatta per ciascuno di noi ed è per questo che non smette di infuocare il nostro desiderio.

Che cosa occorre, mi chiedevo, perché questo sguardo, questo impeto buono non venga soffocato dal fastidio delle restrizioni, o dall’inevitabile fatica connaturata allo studio, dai problemi che non mancano mai nella vita sociale, dalla noia che può sopraggiungere nell’affrontare contenuti non compresi o non immediatamente pertinenti la propria esperienza? Qual è la condizione affinché ciascuno si percepisca veramente responsabile e corresponsabile nell’affrontare una modalità nuova e strana di vivere la vita scolastica, la nostra nuova normalità?

San Paolo offre un suggerimento per rispondere nella Lettera ai Colossesi: “Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione”: solo un grande amore a sé stessi, agli altri e alla realtà può renderci responsabili, capaci di desiderare, di appassionarci allo studio, ai rapporti con compagni e docenti, pronti, flessibili, aperti a quello che la realtà ci offrirà e ci chiederà giorno per giorno.

Solo un grande amore ci rende “innocenti”: “Se Innocent è felice, è perché lui è Innocente”, si legge in Uomovivo. E suona come una promessa.